Osservazioni sulle Nozze di Cana



[3] Lettura dell’Evangelo secondo Giovanni. I (capitoli 1-4) / Xavier Léon-Dufour <1912-2007>. – Cinisello Balsamo : Edizioni Paoline, 1990.

[4] Il Sabato. Il suo significato per l’uomo moderno / Abraham Joshua Heschel <1907-1972>. – Milano : Garzanti, 2018

[5] Un momento di eternità. Il sabato nella tradizione ebraica / Benjamin Gross <1925-2015>.- Bologna : Centro Editoriale Dehoniano, 2018




























[33] L’origine dei dogmi cristiani / Elia Benamozegh <1822-1900>.- Torino [ora Bologna] : Marietti, 2002

Quest’articolo riprende il discorso di [1], applicandolo alle Nozze di Cana [2]. Un mio amico, che ringrazio molto, mi ha prestato il libro [3], stimatissimo commento, al quale mi permetto di aggiungere alcune osservazioni, più complementari che critiche.

Gli autori dei libri [4] e [5] avvertono che nella tradizione ebraica è centrale il paragone tra il Sabato e le Nozze; entrambi sono infatti il primo segno, il secondo simbolo, del patto eterno tra Dio ed il Suo popolo (Israele per gli ebrei, la Chiesa per i cristiani).

Il più noto degli inni del Sabato, composto dal cabalista rav Shlomo Alqabetz ha-Levi <1505-1576>, si chiama “Lekha Dodi = Vieni amato” [6], con cui si incoraggiano gli ebrei ad andare incontro alla Sposa d’Israele, “Malkat Shabbat = la Regina Sabato”; come spiega [7], citando [4], a rav Shime‘on Bar Yochai è attribuito questo Midrash: al termine dell’Opera della Creazione il Settimo Giorno si lamentò perché i giorni della settimana erano stati creati tutti accoppiati, ma il Settimo era rimasto solo; e Dio gli rispose che il suo compagno sarebbe stato la comunità d’Israele.

Il verbo ebraico “Qiddesh = santificare, consacrare” si applica sia al Sabato da santificare che alla Sposa da consacrare allo sposo; sia il Sabato che le Nozze si celebrano con il Qiddush del vino ([8] è la versione del venerdì sera, [9] quella nuziale), e con la recita di sette benedizioni (il matrimonio ha le sue proprie [10] mentre la versione dell’Amidah recitata di Sabato [11] ha sette benedizioni anziché diciannove [12]).

Libro biblico tradizionalmente cantillato il giorno di Sabato dagli ebrei sefarditi [13] (gli ashkenaziti lo fanno solo il Sabato di Pasqua) è quello che rav ‘Aqiva chiamò “Qodesh ha-Qodashim = il santo dei santi”, ovvero “Shir ha-Shirim = il Cantico dei Cantici” [14, 15], che è indiscutibilmente nato come una raccolta di canti nuziali, licenziosi al punto giusto, che solo una pesante interpretazione allegorica consente di considerare sacri.

Sempre in [7] è stato notato che le Nozze hanno mutuato nel rituale molti elementi dal Sabato, appunto perché il Sabato è stato paragonato a delle Nozze dalla letteratura rabbinica.

Ci sarebbero altri argomenti, ma quello che conta per me è che, se è lecito ed opportuno paragonare il Sabato alle Nozze, per la proprietà simmetrica delle relazioni di equivalenza (se A è in relazione con B, B è in relazione con A) è altrettanto lecito ed opportuno paragonare le Nozze al Sabato e chiedersi se Gesù a Cana abbia solo dato valore escatologico a delle Nozze già celebrate, oppure abbia anche preparato la celebrazione di un Sabato escatologico.

Sulla questione delle nozze già celebrate, il testo [2] lascia intendere che Gesù e discepoli siano sopraggiunti dopo la celebrazione; ed il commentatore di [2] osserva giustamente che, poiché un matrimonio ebraico come si deve va festeggiato per sette giorni consecutivi, il vino potrebbe essere venuto a mancare l’ultimo giorno, proprio quando stavano arrivando Gesù e discepoli.

Ritengo perciò perfettamente plausibile che il matrimonio fosse stato celebrato di domenica (che per gli ebrei e gli israeliani è un giorno feriale), ma in quel giorno Gesù e discepoli non potessero essere presenti, e si fossero fatti aspettare fino al tardo pomeriggio del venerdì, quando giunsero poco prima che scattasse il divieto di percorrere lunghe distanze di Sabato.

Si sono fatte tante supposizioni sul perché ci sia voluto il miracolo di Gesù per procurare il vino, e quella che propongo è che si stesse ormai avvicinando il tramonto del venerdì sera, inizio legale del Sabato - ma molte comunità fanno cominciare il Sabato mezz’ora prima del tramonto [16].

Anche se la famiglia dello sposo fosse riuscita a comprare il vino prima dell’inizio del Sabato, non sarebbe riuscita a farlo entrare nel luogo dei festeggiamenti in tempo (dove si trovasse esattamente Cana non lo sappiamo; in [17] si trova comunque la “Chiesa delle Nozze” cattolica): come ben sapeva l’autore di Giovanni 5:1-16 [18, 19], non è permesso far entrare od uscire oggetti da una proprietà di Sabato, e poiché con ogni probabilità si sarebbero dovuti caricare i recipienti di vino sul dorso di uno o più asini, farli giungere a destinazione, e poi scaricarli e portarli dentro, era un’impresa impossibile.

I sei recipienti di pietra per la purificazione rituale meriterebbero un’indagine a parte; innanzitutto, mi pare strano che una famiglia ebraica standard, in cui solo le donne sposate sono tenute a purificarsi mensilmente con la “Tevillah = immersione rituale”, decida di farsi il “Miqweh = bagno rituale” [20] in casa, perché è complicato da gestire (si narra che un ammiratore di rav Avrohom Yeshaya Karelitz <1878-1953>, detto Chazon Ish, gli avesse costruito una casa con Miqweh incorporato [21], ma questi era un famoso rabbino, sapeva gestirlo).

Sospetto che il luogo in cui si celebravano le Nozze fungesse anche da Miqweh per tutto il villaggio; questo significa che dovesse esserci un supervisore nominato dal Tempio, che certificasse la “Kashrut = idoneità” dello stabilimento (anche nei “Miqwaot = bagni rituali” di oggi ci sono) ed il rispetto delle norme rituali da parte dei suoi utenti - ma qui non appare, anche se già dal 1° Secolo AEV [20] si era cominciato a costruire dei Miqwaot in Terra d’Israele (vedi ad esempio [22]), ed i rabbini, prima di celebrare un matrimonio, esigono la prova che la sposa abbia fatto la Tevillah.

La mancanza di questo addetto nel racconto evangelico vuol dire forse che l’élite sacerdotale ha abbandonato il compito di purificare il popolo? Ed anche questa trascuratezza è dietro la mancanza di vino a cui deve rimediare Gesù? Se Giovanni battezzava i discepoli nel fiume Giordano (cosa consentita dalla legge ebraica,  se il fiume ha una portata abbastanza indipendente dalle precipitazioni [23]), e non negli stabilimenti costruiti e gestiti dall’élite sacerdotale dell’epoca, probabilmente lo faceva in polemica con essa (perché esseno).

Una mia amica ebrea israeliana di origine europea una volta mi raccontò che la comunità ebraica della sua città di provenienza era in rotta con il rabbino, che era tanto osservante e pignolo da “squalificare” il Miqweh della stessa, sul quale i precedenti rabbini non avevano avuto nulla da dire; e poiché aveva una moglie in età feconda, tutti i mesi la mandava in treno nella città della famiglia di lei, in cui a suo dire c’era un Miqweh perfettamente “Kasher = idoneo”, a spese della comunità ebraica che serviva.

I maggiorenti della comunità si arrabbiarono alquanto, non solo per la non piccola spesa mensile, ma anche perché trovarsi il Miqweh “squalificato” era per loro una colossale offesa. Potete immaginare come si sentisse l’élite del Tempio a sapere che Giovanni battezzava nel Giordano, e con grande successo!

Tornando all’edificio in cui si svolgevano i festeggiamenti, di solito un Miqweh si trova vicino alla sinagoga, e suppongo che quell'edificio fosse quello che oggi si chiamerebbe un “Merkaz ha-Qehillah = centro comunitario”: oltre al Miqweh, c'è la sinagoga (con l'aula per il culto, nella quale si deve tenere un comportamento dignitoso perché la “Shekhinah = Presenza di Dio” inabita il “Sefer Torah = Rotolo della Legge”), una scuola con almeno un'aula di studio, una sala per i banchetti (in cui ci si può lasciare andare come non è consentito nell'aula per il culto), ed una cucina per i medesimi. In questo caso, la mancanza di vino è ancora meno scusabile, perché ci doveva essere un responsabile della dispensa incaricato di procurare entro la Vigilia il vino per i Qiddushim del Sabato e delle Feste. 

La cosa importante è comunque il significato simbolico dei recipienti; secondo [3] simboleggiano un’imperfezione da completare (6 = 7 - 1), e secondo me rappresentano i sei giorni della Creazione, il cui coronamento è il Sabato.

Che fa un ebreo osservante quando vuol bere il caffè di Sabato? [24] Ricorre al caffè istantaneo. Come lo prepara? Prima versa l’acqua calda (ci sono bollitori specifici che la tengono calda per un giorno intero anche da spenti) nella tazza, poi la polvere di caffè dentro. Si può versare la polvere di caffè direttamente dentro il bollitore, oppure fare il contrario di prima, cioè mettere nella tazza prima la polvere di caffè e poi l’acqua calda? Assolutamente no: queste manovre verrebbero considerate “Bishul = cottura”, vietata di Sabato.

Gesù ordina ai servi un procedimento simile: riempire di acqua i recipienti in cui lui formerà il vino (non mi chiedo come abbia fatto), e riempimento e trasformazione senza uso di fonti di calore si possono fare anche di Sabato (sempreché l’acqua sia già dentro la proprietà, e nessuno si sogni di portarcela dentro con otri, secchi o giare).

Perché non era ancora giunta l’ora di Gesù? Secondo me, perché voleva che il vino fosse usato, prima che per bere ed inebriarsi, per recitare innanzitutto il Qiddush del Sabato; perché il vino è stato portato al “maestro di tavola” o “scalco” (per mutuare il termine del commentatore di [2])?

Perché quando il Qiddush viene eseguito da più persone, non si recita o canta in coro, ma un maschietto tra loro (lo so, l’ebraismo ortodosso è incredibilmente maschilista – ma le donne ebree conoscono il proverbio: “A brigante, brigante e mezzo!”, non vi preoccupate oltremisura) lo recita o canta a nome di tutti, i quali dicono solo “Le-Chayyim = Alla vita!” quando il “celebrante” dice “Saverì Maranàn = Col permesso dei signori”, ed “Amén = Amen” al termine della benedizione.

Inoltre, di solito il “celebrante” (in questo caso lo “scalco”) prende una coppa di vino sulla quale pronuncia la benedizione, e poi la passa a tutti (un po’ come accade di solito nell'eucaristia cristiana), anche se è consentito che ognuno abbia la propria coppa di vino già piena prima del rito.

Credo perciò che lo “scalco” si sia comportato così: abbia guardato ed annusato il liquido (non poteva fare di più perché, come disse rav ‘Aqiva in [25], “Una persona non può gustare alcunché senza aver prima recitato una benedizione”), abbia annunciato che finalmente il vino c’era, e che era il momento di prepararsi per il Qiddush; se gli ospiti erano tanti, avrà detto ai servi di servire il vino a tutti quanti prima della benedizione, perché altrimenti una coppa sola non sarebbe bastata per tutti.

Il commentatore di [2] sostiene che lo “scalco” non fosse un capocameriere, ma un invitato preso a caso, e questo è senz’altro possibile, anche se di solito una cerimonia religiosa la si fa presiedere da una persona onorata; credo che nessuno avesse paura che il vino non fosse buono, ma lo “scalco” si è poi improvvisato sommelier complimentandosi per la qualità del vino, di livello non solo enologico ma anche escatologico.

La connessione tra il Sabato e le Nozze non nasce solo nella letteratura rabbinica, è evidente a chiunque pensi a quello che è successo il sesto giorno della Creazione: Dio crea Adamo, da lui separa Eva, ed impartisce loro la “Mitzwah = comandamento”: “Peru u-revu = Siate fruttuosi e moltiplicatevi”; per gli ebrei è la prima delle 613 “Mitzwot = comandamenti” della Torah [27], che, praticata in condizioni impossibili, meritò loro l'Esodo dall'Egitto, altro evento che il Sabato commemora [4, 5]; per Giovanni Paolo 2° il matrimonio è “il sacramento più antico” [27].

Poco dopo c’è stato il peccato, prima di Eva e poi di Adamo, e secondo la tradizione ebraica, Dio dovette perciò affrettarsi a creare dieci strumenti di redenzione straordinari “al Crepuscolo” [28], cioè proprio mentre stava sopraggiungendo il Sabato, in cui anch’Egli avrebbe dovuto riposare.

Il Sabato ricorda esplicitamente l’opera della Creazione, le Nozze vi alludono; e quando Shlomo Sigismund (più noto come Sigmund) Freud <1856-1939> chiamò “Urszene = Scena Primaria” le fantasie del bambino sulla sessualità dei genitori (spesso rincalzate dall’aver assistito ad atti sessuali, loro, o di altre persone, o perfino di animali), penso che si fosse messo su questa linea di pensiero.

Le Nozze di Cana non hanno solo il significato escatologico rinvenutovi dagli interpreti, sono a mio avviso una ricapitolazione della Creazione, tra Nozze e Sabato, con il peccato che nella Genesi impedisce ad Adamo ed Eva di santificare il Sabato dentro il Giardino dell’Eden, dacché Dio li scaccia prima; ma nell’Evangelo Gesù cambia il finale (come diceva l’ebreo, peraltro ateo, Freud: “Ricordare, Ripetere, Rielaborare”) fornendo a tutti i mezzi per farlo restando nel luogo della festa.

Senza il vino, ci sarebbero state, a livello letterale, due spiacevoli conseguenze: la prima era che gli ospiti avrebbero dovuto abbandonare la festa nuziale, e tornare a casa per adempiere al precetto di santificare il Sabato con il Qiddush sul proprio vino (chi non vuole o non può bere alcolici non si deve preoccupare: come anche in molte chiese cristiane, al posto del vino usa il mosto non fermentato), visto che lo sposo non era in grado di somministrarglielo.

Quel Qiddush sul vino sarebbe stato l’introduzione obbligatoria alla cena del venerdì sera (tecnicamente, il primo pasto del Sabato), nonché del pranzo del Sabato, che esige anch'esso di essere introdotto da un Qiddush; perciò gli ospiti avrebbero dovuto consumare quei due pasti a casa anziché alla festa dello sposo - seconda spiacevole conseguenza.

C'è l'uso che le sinagoghe terminino il culto della “Qabbalat Shabbat = Accoglienza del Sabato” con un Qiddush, soprattutto a beneficio dei viandanti; ma se quel Qiddush non introduce un pasto, non “fa uscire d'obbligo” chi vi partecipa - ed infatti sinagoghe come quella di Verona offrono anche un buffet, per rendere il Qiddush l'introduzione di un pasto, e “far uscire d'obbligo” anche chi non può ripeterlo a casa al momento di cenare.

Pure l'Havdalah, la cerimonia che marca la fine del Sabato (ed in questo caso probabilmente anche la fine della festa nuziale), esige un Qiddush, reso impossibile nel luogo della festa per la mancanza di vino; in una parola, a livello letterale, gli ospiti sarebbero stati costretti ad abbandonare la festa nuziale ed a non farvi più ritorno, guastandola in modo molto più grave di quello a cui pensano gli interpreti a cui non è venuto in mente che potesse essersi sovrapposta al Sabato; gli anglofoni direbbero che “Jesus saved the day = Gesù ha salvato la giornata”.

Qual è il ruolo dell’acqua e del vino in tutto questo, a livello simbolico? Che la Torah sia acqua di vita è addirittura un luogo comune della letteratura rabbinica [29], ed il vino è fondamentale in ogni festa ebraica [7] per rallegrare i partecipanti e Dio stesso [25]; l’autore di [3] dice che l’“acqua = Legge” ha portato al “vino = Evangelo”, e sarei anche d’accordo, con la riserva che ho già espresso in [1], ovvero che tutto quello che i cristiani riformati chiamano “Legge” ed “Evangelo” si trova già nelle Scritture ebraiche – un bell’esempio mi pare lo abbia già trovato Karl Barth <1886-1968> nel Decalogo.

In ogni caso, qui il vino ricopre un ruolo cruciale, sembra che siamo tutti d’accordo che è uno strumento di santificazione/redenzione fondamentale, e le discussioni si hanno solo sul come e sul perché - io dico che se non altro, senza quel vino non si poteva restare nel luogo della festa, centro della comunità d’Israele, e santificarvi il Sabato.

Ammetto che in [1] ho sostenuto una tesi abbastanza temeraria – ovvero che fosse la vite l’albero il cui frutto Adamo non doveva mangiare, ma se lui avesse pigiato i grappoli ed avesse fatto fermentare il mosto in vino, che è da bere, e lo avesse usato per celebrare il primo Qiddush della storia quel Sabato (le nozze con Eva erano già state celebrate [per “impossessamento”], esattamente come quelle a cui arrivano a Cana Gesù e discepoli, non era il caso di fare il Qiddush per loro), tutto sarebbe andato a meraviglia.

Di questa suggestiva tesi conosco la versione proposta da Arizal (Yitzchaq Ben Shlomo Luria ha-Ashkenazi <1534-1572>), ma in [30, 31] è spiegato che già in epoca intertestamentaria si congetturava che il frutto fosse simile all’uva, o l’uva vera e propria.

Non è impossibile che l’evangelista si sia ispirato a queste speculazioni, e che la risposta non molto garbata di Gesù alla mamma sia stata l’equivalente di un: “Per favore, non fare come Eva che ha rovinato tutto per non aver saputo attendere il momento giusto e far le cose per bene; ho l’occasione di riparare a quell’errore, devo fare come chiede il Padre mio”.

La Qabbalah [1, 31] insegna nello Zohar che anche Noè aveva avuto l'occasione di riparare al peccato di Adamo, ma purtroppo, dopo aver fatto il vino, anziché benedire il Sabato si prese una solenne sbronza - come rischiavano di fare gli ospiti, se Gesù non avesse frenato Maria.

Per fortuna Maria, al contrario di Eva, capisce la situazione e dice ai servi di fare quello che dirà Gesù.

Il paragone tra Gesù e Noè non presuppone comunque questo motivo cabalistico (ed infatti vi accenna anche l'autore di [3]): Noè aveva fatto il vino pigiando l’uva, e purtroppo si ubriacò; Gesù creò il vino in modo prodigioso (la benedizione sul vino recita “Barukh Attah YHWH Elohenu Melekh ha-‘Olam, Bore Peri ha-Gafen = Benedetto sii Tu, YHWH Dio nostro, re dell'universo, creatore del frutto della vite”), e fece in modo che venisse usato in un Qiddush.

Oltretutto, la sbronza di Noè ebbe come spiacevole conseguenza che il figlio Cam poté vederlo nudo e deriderlo (ad interpretare pedestremente il testo scritturale; ma non mancano commentatori ebrei e cristiani che avvertono che già il testo biblico lascia intendere che Cam abbia proprio stuprato il babbo [32], violando molteplici proibizioni bibliche a tutela di sessualità e famiglia); invece il miracolo di Gesù ha rimesso in rotta un matrimonio che rischiava di naufragare (una festa nuziale riuscita male non porta bene agli sposi, nemmeno oggi) - e per quanto sia stato brusco rispondendo alla mamma, non le ha fatto niente di sbagliato, ed anzi ha rotto una simbiosi rischiosa.

Ciò che riguarda Adamo ed Eva riguarda l’umanità intera, e Noè è la controparte del “Berit Noach = alleanza noachica”, tra Dio e l’umanità superstite al Diluvio, nonché i suoi discendenti - le Nozze di Cana non riguardano solo Israele, anche se Israele, come popolo ed istituzioni, è il tramite della benedizione di Dio, bensì l'umanità intera.

Resta un problema: perché mai rav Elia Benamozegh <1822-1900>, che pure amava definire Gesù un cabalista [33], non ha usato le Nozze di Cana per provare la sua tesi?

Raffaele Yona Ladu
Ebre* umanista gendervague
Soci* di Autistic Self Advocacy Network

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