Su Matteo 13:44

Versione sintetica di questo post, nel quale interpreto in modo originale la parabola di Matteo 13:44 (versione Nuova Riveduta):

Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo, che un uomo, dopo averlo trovato, nasconde; e, per la gioia che ne ha, va e vende tutto quello che ha, e compra quel campo.


Una lettura superficiale della parabola fa pensare che "l'uomo" si sarebbe comportato in modo disonesto, ed i commentatori cercano in qualche modo di scusare questa disonestà, o di dire che Gesù approvava lo zelo, non il modo in cui si era espresso.

Dal punto di vista ebraico, però, una disonestà simile è inescusabile, perché è vietatissimo al compratore approfittare dell'ignoranza del venditore (e viceversa) - vedi Levitico 25:14, nonché la copiosa letteratura halakhica disponibile in rete (anche in inglese) sull'onaat mamon = frode pecuniaria.

Se veramente Gesù avesse raccontato una cosa del genere, e la si fosse potuta interpretare solo così, i suoi nemici non avrebbero avuto bisogno delle autorità romane per neutralizzarlo - il suo movimento si sarebbe sbandato da solo.

Occorre quindi trovare un'interpretazione del brano che discolpi il compratore. Intanto, che ci faceva nella proprietà altrui? Probabilmente stava compiendo dei lavori agricoli e, visto che un patrimonio ce l'aveva, non doveva essere un semplice bracciante, ma un "contoterzista", ovvero un imprenditore che lavora i campi degli altri.

Di che natura è il tesoro che egli ha trovato? Sia il Vangelo che la Mishnah Pe'ah (guarda caso, quella che approfondisce Levitico 19:9 e 23:22, di cui parlerò poi) avvertono che chi fa del bene accumula dei tesori in cielo, e la Mishnah precisa che di quel tesoro uno lucra l'interesse in questa vita, ma il capitale rimane a disposizione per quella futura.

Il tesoro potrebbe essere quindi un'opportunità di fare del bene - e come si fa del bene con un campo? La Bibbia stabilisce (in Levitico 19:9 e 23:22, i passi a cui ho accennato prima) che il proprietario di un campo non deve spigolare quanto raccoglie e deve lasciarne un angolo a disposizione dei poveri (i rabbini preciseranno che l'angolo deve essere almeno 1/60 della superficie del campo - ma uno può ingrandirlo quanto vuole).

I poveri quindi sono autorizzati ad entrare in un campo per sfamarsi con quello che è stato lasciato per loro (lo hanno fatto anche i discepoli di Gesù, secondo Marco 2:23-28); è probabile che ogni campo avesse i suoi "spigolatori abituali", che costituivano il tesoro in cielo associato a quel campo - una sorta di "avviamento" secondo la contabilità della carità.

Di quel "tesoro" il padrone era certo a conoscenza, e non poteva vendere quel campo senza vendere anche quello. Non c'era bisogno che il compratore menzionasse al venditore la sua intenzione di impadronirsi di quel "tesoro", perchè lo avrebbe ricevuto comunque insieme con il campo.

Il prezzo del campo quindi era giusto, e la compravendita legale e morale. Però, come si fa a "nascondere" un tesoro che è sotto gli occhi di tutti? E da chi?

La mia esperienza di militante LGBTQIA+ dice che, oltre alle cose palesi ed a quelle nascoste, esistono le persone "velate", ovvero che al mondo mostrano di essere simili agli altri, ma che dentro sono inaccettabilmente diverse.

Le Beatitudini secondo Matteo (Matteo 5:1-12) dicono che il regno dei cieli è di due tipi di persone: i poveri in ispirito (Matteo 5:3) ed i perseguitati per motivo di giustizia (Matteo 5:10). Una persona che è ambo le cose può palesarsi come "povero in ispirito" (e quindi approfittare dell'"angolo del campo" previsto dalla legge ebraica), ma nascondere l'essere "perseguitato per motivo di giustizia" (per non essere portato via dai "ladri" - come definiti in Matteo 21:13, Marco 11:17, Luca 19:46).

Il contoterzista protagonista della parabola doveva essere cristiano, e lavorando quel campo ha incontrato dei poveri in cui ha riconosciuto altri discepoli di Gesù come lui - scoprendo così il "tesoro". Se ne rallegra, e non li denuncia a chi vorrebbe arrestarli (nascondendo così il "tesoro"), ma compera il campo intorno a cui gravitano per la sussistenza, per metterli al sicuro e vivere insieme con loro.

La parabola è davvero di Gesù? Gli esegeti distinguono tra "parabole" ed "allegorie": la parabola rappresenta una situazione verosimile ed il suo significato è chiaro; l'allegoria rappresenta una situazione inverosimile e nasconde un messaggio cifrato.

Le parabole sarebbero di Gesù, le allegorie opera dei redattori; se la mia interpretazione è valida, questa è un'allegoria, e non è di Gesù.

Oltretutto il messaggio dell'allegoria, per quanto opportuno, cozza contro un detto di Gesù citato in tutti i Sinottici (Matteo 5:15, Marco 4:21, Luca 8:16, Luca 11:33): non nascondete una lampada, ma mettetela in alto dove illumina di più.

Infine, questo brano evangelico prescrive un comportamento adatto ad una persecuzione su larga scala nei territori in cui vige la legge ebraica (anche se si può facilmente adattare ad altre giurisdizioni, "velandosi" in altro modo), una situazione che non si era verificata durante la vita di Gesù.
Raffaele Yona Ladu
Ebre* umanista gendervague
Soci* di Autistic Self-Advocacy Network

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