Bediqat Drakhmah
In questi giorni il ciclo del Daf
Yomi sta facendo leggere agli ebrei il trattato talmudico Pesachim, dedicato alla
festa pasquale ebraica, ed i suoi primi fogli sono dedicati alla “bediqat
chametz = ricerca dei cereali lievitati”, che si svolge
obbligatoriamente (lo dice la Mishnah,
redatta un secolo dopo la morte di Gesù) a lume di lucerna (o di candela) a partire dal
tramonto con cui inizia il 14 del mese ebraico di Nisan
(la vigilia della festa), con lo scopo di individuare e distruggere col fuoco
(il mattino dopo) tutti i
cereali lievitati che si trovano in casa.
Quelli che non è possibile rintracciare o distruggere vengono
“annullati” dal padrone di casa con un’apposita dichiarazione subito dopo il falò, in modo che con
la loro presenza (ora solo fisica, e non più giuridica) non impediscano la celebrazione della festa. Una scappatoia
che consente a chi detiene gran quantità di cereali passibili di lievitazione (come le Forze di Difesa Israeliane ed i supermercati) di escluderli dalla
festa senza distruggerli od annullarli è quella di “vendere” ritualmente tali cereali ad un
non ebreo, che li “rivenderà” sempre ritualmente al precedente proprietario
otto giorni dopo, al termine del periodo pasquale. Nel frattempo, è vietato usare quel chametz (se lo usi, vuol dire che è ancora tuo), e di solito i locali che lo contengono vengono sigillati.
Ah, non è che tutto il chametz
debba essere ricercato proprio il 14 Nisan:
chi ha una casa grande, o tante proprietà, od è semplicemente previdente, pulisce a fondo ben prima del 14 Nisan,
lasciando del chametz solo una
quantità simbolica, che verrà ricercata e distrutta il 14 Nisan.
La pagina sopra citata, tenuta dalla Chaba”d, ricorda che a questo scopo è d’uso nascondere dieci pezzettini di pane in giro per la casa in cui si fa la ricerca del chametz - non è strettamente obbligatorio, ma soddisfa esigenze sia halakhiche (di legge religiosa ebraica) che cabalistiche (mistiche).
Perché proprio pezzettini? Ce lo spiega The Chicago Center for Torah - Chesed - Refuah nella sua newsletter dedicata all’opera halakhica Mishna Berura, ed in particolare in questo numero, in cui dice: “Sha’arei Teshuvah (ג"סק) scrive che i pezzi di pane che uno semina debbono essere minori del volume di un’oliva, in modo che se non riesce a trovare uno dei pezzi di pane non violi i divieti di בל יראה ובל ימצא (“non veda e non trovi”). D’altro canto, il volume complessivo dei dieci pezzi dovrebbe essere superiore al volume di un’oliva, dacché secondo alcune opinioni uno non è obbligato a distruggere del chametz che sia di volume inferiore a quello di un’oliva”.
Questo brano suggerisce che, se ogni moneta da una dramma della parabola rappresenta uno dei pezzetti di pane da disseminare e poi raccogliere, allora una dramma rappresenta un’inezia, ma dieci dramme un piccolo tesoro.
Di questo sono convinti anche i numismatici, come i gestori del sito Coinquest nella loro descrizione della Decadramma (moneta da dieci dramme) di Siracusa; di questa moneta parla anche l’Encyclopedia Britannica nella voce Coin, ed il sito History 2701 descrive la Decadramma di Atene.
Il dizionario Merriam-Webster, alla voce Decadrachm, si premura di avvertire che la moneta aveva un valore tale da essere stata, secondo molti studiosi, più commemorativa che pratica, tant’è vero che era coniata in modo particolarmente raffinato - ci si trova d’accordo con gli autori della newsletter sulla Mishnah Berurah: per il salto di qualità ricercato ci vogliono dieci dramme, nove non bastano.
Il numero dieci rappresenta tante cose nel mondo ebraico; quella che mi viene in mente ora è il minyan: perché una preghiera possa recitarsi a nome della comunità deve pregare un gruppo di dieci persone (nel caso degli ebrei ortodossi, e dell’epoca di Gesù, solo dieci uomini adulti) - e dieci erano i giusti che avrebbero potuto salvare Sodoma, se vi si fossero trovati (Genesi 18:32).
Leggiamoci ora la parabola della dramma perduta (Luca 15:8-10, Versione Nuova Riveduta):
08
«Oppure, qual è la donna che se ha dieci dramme e ne perde una, non accende un
lume e non spazza la casa e non cerca con cura finché non la ritrova?
09
Quando l’ha trovata, chiama le amiche e le vicine, dicendo: “Rallegratevi con
me, perché ho ritrovato la dramma che avevo perduta”.
10 Così,
vi dico, v’è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si
ravvede».
I rabbini non prescrivono l’uso della scopa per cercare il chametz, ma quello della lucerna sì, e
la ricerca della moneta somiglia perciò molto a quella del chametz.
Non ritengo quella della parabola la normale ricerca di una
moneta, per due motivi: il primo è che la dramma era una moneta di scarso
valore – secondo Wikipedia,
ad Atene corrispondeva a 4,3 grammi d’argento, che oggi (29/11/2020) valgono,
secondo il sito CoinApps.com,
la miseria di 2,62 Euro.
È vero che si stima, sulla base della letteratura greca, che
una dramma fosse il salario giornaliero di un lavoratore mediamente qualificato,
ma a quell’epoca un’ora di luce di lucerna ad olio lampante d’oliva costava la
paga di oltre cinque ore di lavoro.
La stima l’ho fatta sulla base di questo tweet, secondo cui una lucerna che bruciava olio di sesamo per un’ora consumava l’equivalente di 50 ore di lavoro; confrontando un sito che indica il prezzo dell’olio lampante di oliva all’ingrosso, presumibilmente quello usato dai contemporanei di Gesù e dei tannaiti, con uno che indica i prezzi dell’olio di sesamo biologico al dettaglio, scopriamo che l’olio di sesamo costa almeno nove volte di più di quello lampante di oliva.
In una parola, una persona che si fosse messa a cercare una monetina con una lucerna ad olio rischiava di sprecare più del valore della moneta che sperava di ritrovare!
Non era una preoccupazione solo teorica: il Talmud (bBerakhot 2b) cita
un’opinione secondo cui il periodo per la recitazione dello Shema‘ della
sera inizia quando il povero torna a casa per cenare, ed i commentatori
spiegano che il povero cena al crepuscolo perché non può permettersi
economicamente di accendere una lampada. Lui ce l’ha perché obbligatoria per
alcuni riti religiosi (tra cui la bediqat
chametz), ma non la usa con la disinvoltura con cui noi usiamo una lampada
elettrica!
In una situazione normale la donna si sarebbe detta: “La
moneta la cerco domattina alla luce del sole – da qui certo non scappa da sola!”,
quindi dobbiamo chiederci che cosa la motivi a cercarla proprio la sera a lume
di lucerna – e la mia risposta è che si tratti di una bediqat chametz sotto mentite spoglie.
Il versetto 10 della parabola paragona esplicitamente la
moneta perduta ad un peccatore che deve essere ritrovato perché abbia l’occasione
di ravvedersi, e nel cercare quel peccatore Dio usa la stessa acribia a cui è
tenuto un ebreo durante la bediqat
chametz.
C’è però un’interessante differenza: i rabbini insistono (bPesachim 7a) che il chametz durante la Pasqua non ha alcun valore economico, tant’è vero che se un uomo volesse fidanzarsi a Pasqua offrendo del grano come “ketubah = contraddote” (non è una cosa strana: quando si sposarono i miei genitori nel 1961 EV in Sardegna, tra i regali di nozze c’era una gran quantità di grano), il suo fidanzamento sarebbe nullo, perché il grano è chametz, e la contraddote sarebbe senza valore; invece la donna cerca una moneta di valore scarso, ma non nullo.
Il chametz va
distrutto nel fuoco o giuridicamente annullato, la moneta invece tesaurizzata e contata – forse Gesù vuol dire a chi
si sente escluso come il chametz a
Pasqua (non è un’idea bislacca: esiste un libro, scritto dalla rabbina femminista lesbica Rebecca Alpert e pubblicato nel 1997, dal titolo Like
Bread on the Seder Plate : Jewish Lesbians and the Transformation of Tradition), senza alcun valore ed in attesa del fuoco che lo distrugga, o di essere comunque escluso dalla comunità, che lui
invece è una moneta, di non gran valore forse, ma con il suo pregio, e che
perciò va conservata.
La purificazione della casa d’Israele non si fa distruggendo od escludendo ciò che non garba, come si fa con il chametz
a Pasqua, ma valorizzandolo – cosa possibile perché la “teshuvah = pentimento” fatta per amore e
non semplice timore trasforma le trasgressioni in meriti (bYoma 86b//Luca
15:7).
Mi intrigano i dieci pezzettini di pane sparsi per la casa prima
della bediqat chametz – è un “minhag = uso”, non un’“halakhah = norma”, attestato almeno
dal 12° Secolo EV da Raavad, e di cui l’ARIZaL diede nel 16°
Secolo EV una spiegazione cabalistica, a cui ne seguirono altre.
Se l’uso risalisse almeno all’epoca di Gesù (bPesachim 9b contiene un’allusione di epoca amoraica, bPesachim 10a fa sospettare
che ci avessero pensato già in epoca tannaitica), allora verrebbe da pensare
che la donna avesse sparso a bella posta dieci monetine per casa (per nasconderle ai ladri? Per chi non ha una cassaforte è una buona idea disperdere i valori per la casa, in modo che il ladro ne trovi uno o pochi, ma non tutti - così come chi ha oggi dati importanti da conservare ne esegue il backup su più siti), allo stesso
modo in cui un pastore sparge le pecore al pascolo – e come il pastore della
parabola precedente (quella della pecorella smarrita - Luca 15:3-7//Matteo 18:12-14) aveva poi radunato senza fatica novantanove pecore (il numero degli anni che aveva Abramo quando Dio stipulò il patto con lui, gli ordinò di circoncidersi e chiamò lui Abraamo e sua moglie Sara - vedi Genesi 17:1-14), e la
centesima era dovuto andare a cercarla (facile gestire Abramo fino al novantanovesimo anno - le vere difficoltà sono venute dopo!), così la donna aveva raccolto senza
fatica nove monete, ma dovette cercare la decima.
Perché proprio dieci monete? Il numero dieci rappresenta tante cose, e c’è solo l'imbarazzo della scelta; oltre a quella che ho proposto prima, rammento che dieci furono le prove a cui fu sottoposto Abraamo dal Signore per essere degno di diventare il capostipite del popolo d'Israele.
Se la parabola della pecorella smarrita richiama il “berit Avraham = patto di Abraamo”, ed è corretto legare la parabola della dramma perduta alla Pasqua, va ricordato che la circoncisione e la partecipazione alla Pasqua sono tanto collegate e basilari per l’identità ebraica da essere le uniche due “mitzwot = precetti” positive (ovvero, obblighi) che se vengono disattese attirano sul malcapitato il “karet = esclusione dal popolo ebraico” (Genesi 17:14; Numeri 9:13 - le altre mitzwot con la medesima pena sono negative, ovvero divieti) - il legame tra le due parabole non è dato solo dalla successione nel testo e dall’analogia di struttura: rappresentano due miti fondanti e due situazioni che portano l’una all’altra nella storia d’Israele e di ogni singolo ebreo.
Wikipedia cita l’esegeta americano Joel B. Green, che nel suo libro The Gospel of Luke avanzerebbe l’ipotesi che l’invito ad amiche e vicine a rallegrarsi sarebbe in realtà l’invito ad un pasto festivo, simile a quelli che Gesù celebrava con i peccatori e facevano arricciare il naso ai farisei ed agli scribi (Luca 15:2). Se la citazione è corretta e Green ha ragione, il pasto potrebbe essere un “seder Pesach = il pasto che celebra la Pasqua ebraica”, che si svolge la sera che segue quella della bediqat chametz, ed un elemento in più a sostegno dell’ipotesi pasquale.
Che succede se un ebreo dopo aver sparso dieci pezzettini di pane per la casa ne trova solo nove? Almeno un rabbino della Chaba”d fa del terrorismo, dicendo che chi non riesce a trovare il pezzettino mancante si trova in un bel guaio; altri (la maggioranza, credo) dicono che non è cosa grave, che è inevitabile che delle particelle di chametz sfuggano alla ricerca, e che la dichiarazione di annullamento salva la situazione. Probabilmente il primo teme nefaste ripercussioni cabalistiche, gli altri si attengono alla normativa, che prevede l’annullamento del chametz in questo caso.
Sul “bitul chametz = annullamento del chametz” c'è questo interessante articolo: Is the Mitzvah to Burn or Nullify Chametz?, che fa pensare che all'epoca di Gesù l'annullamento non fosse ancora contemplato - questo non cambia l'interpretazione della parabola.
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