Jesus, the Sabbath and the Jewish Debate
Una persona che ha letto i Vangeli e conosce la normativa ebraica sul sabato almeno quanto è spiegata in questo articolo si chiede come potessero Gesù ed i farisei trovarsi in disaccordo sul guarire di sabato, visto che Gesù si trova d’accordo con la normativa ebraica attuale, creata dai medesimi farisei.
Probabilmente Gesù ha avuto la sfortuna di agire in un
momento in cui il dibattito sul guarire di sabato era ancora aperto, ed i
Vangeli si trovano a testimoniare questo dibattito in un’epoca (il 1° Secolo
EV) in cui la letteratura rabbinica era ancora trasmessa oralmente.
Nina L. Collins ha indagato su questo dibattito nel libro Jesus,
the Sabbath and the Jewish Debate. Healing on the Sabbath in the 1st and 2nd
Centuries CE (disponibile anche su Amazon ed altre librerie online), confrontando i Vangeli con la
letteratura rabbinica (che, pur messa per iscritto a partire dal 2° Secolo EV,
conserva detti emessi in epoca precedente), con interessanti risultati.
Non è mia intenzione sostituire con questo articolo la
lettura di quel libro, bensì incoraggiarla, per cui riassumo i principi
generali e poi approfondisco l’analisi che l’autrice dà di Marco
2:23-28.
Le citazioni bibliche le traggo da La Nuova Riveduta, la
traduzione italiana di riferimento della chiesa valdese, così come riportata
nel sito LaParola.Net; quelle rabbiniche
nella traduzione inglese riportata nel sito Sefaria.Org.
Va avvertito il lettore dei passi del Talmud Babilonese ivi
riportati che le parole in grassetto riproducono l’originale semitico (aramaico
od ebraico), e quelle in carattere tondo i chiarimenti del curatore, il
compianto rav Adin Even-Israel Steinsaltz
(1937-2020).
Il sito Sefaria.Org chiama quest’edizione “The William Davidson
Talmud”, ma è il nome della fondazione benefica che ha pagato le spese ed i
diritti di pubblicazione online di quest’importante
edizione del Talmud.
Il Pentateuco sembra molto chiaro – vediamo ad esempio Esodo
31:14:
Osserverete dunque il sabato perché è un giorno santo per voi. Chiunque lo profanerà sarà messo a morte. Chiunque farà in esso qualche lavoro sarà eliminato dal suo popolo.
E la Mishnah
Shabbat 7.2 (citata in Talmud
Bavli Shabbat 73a) elenca i 39 tipi di lavoro fondamentali vietati di sabato:
This fundamental mishna enumerates those who perform the primary categories of labor prohibited on Shabbat, which number forty-less-one. They are grouped in accordance with their function: One who sows, and one who plows, and one who reaps, and one who gathers sheaves into a pile, and one who threshes, removing the kernel from the husk, and one who winnows threshed grain in the wind, and one who selects the inedible waste from the edible, and one who grinds, and one who sifts the flour in a sieve, and one who kneads dough, and one who bakes. Additional primary categories of prohibited labor are the following: One who shears wool, and one who whitens it, and one who combs the fleece and straightens it, and one who dyes it, and one who spins the wool, and one who stretches the threads of the warp in the loom, and one who constructs two meshes, tying the threads of the warp to the base of the loom, and one who weaves two threads, and one who severs two threads for constructive purposes, and one who ties a knot, and one who unties a knot, and one who sews two stitches with a needle, as well as one who tears a fabric in order to sew two stitches. One who traps a deer, or any living creature, and one who slaughters it, and one who flays it, and one who salts its hide, a step in the tanning process, and one who tans its hide, and one who smooths it, removing hairs and veins, and one who cuts it into measured parts. One who writes two letters and one who erases in order to write two letters. One who builds a structure, and one who dismantles it, one who extinguishes a fire, and one who kindles a fire. One who strikes a blow with a hammer to complete the production process of a vessel (Rabbeinu Ḥananel), and one who carries out an object from domain to domain. All these are primary categories of labor, and they number forty-less-one.
In quest’elenco non c’è il curare e salvare le persone (e
gli animali), ma è praticamente impossibile farlo senza compiere uno di questi
lavori – questo crea il conflitto tra il salvare una vita ed il rispettare il
sabato.
Secondo la Collins, quest’elenco fu redatto all’epoca dei Maccabei, e già allora
emerse un fondamentale conflitto tra il salvarsi ed il rispettare il sabato: durante
la guerra contro i seleucidi, molti pii ebrei si fecero massacrare di sabato
perché ritenevano vietato combattere quel giorno.
Mattatia,
iniziatore della rivolta, emanò prontamente un decreto in cui faceva notare che
comportandosi così si invitava il nemico ad attaccare proprio di sabato,
mettendo a rischio la sopravvivenza non solo religiosa e culturale, ma anche
fisica d’Israele, e si consentiva di combattere per autodifesa in quel giorno.
Il decreto aveva due notevoli caratteristiche: non accampava
giustificazioni bibliche, e cercava di limitare al minimo la violazione delle
norme sul sabato.
Questa limitazione si sarebbe dimostrata fatale in epoca
successiva: quando Pompeo
Magno abbatté il regno dei seleucidi ed assediò Gerusalemme, egli diede
ordine ai suoi soldati di NON combattere gli ebrei di sabato, ma di concentrarsi
sulla costruzione di opere d’assedio.
Poiché queste costruzioni non mettevano di per sé in
pericolo nessuno, gli ebrei non avevano il pretesto per attaccare i cantieri e
bloccare i lavori, ma di sabato in sabato le posizioni dei romani venivano
sempre più rafforzate, finché gli assediati dovettero arrendersi.
I lettori di Asterix riconosceranno una situazione simile
nel fumetto “Asterix
e i Britanni”: poiché erano stati gli inglesi, tra i cristiani, ad
estendere per primi il riposo settimanale al sabato (da cui l’espressione
“sabato inglese”), lo sceneggiatore ebreo René Goscinny volle
divertire i lettori mettendo i britanni nella stessa situazione dei Maccabei
prima del decreto di Mattatia – purtroppo con il medesimo risultato: il Cesare immaginato da Goscinny attaccava i britanni proprio di sabato, sbaragliandoli facilmente.
Una prima svolta ci fu quando Shammai il vecchio
emanò una direttiva in cui consentiva di proseguire un assedio di sabato,
appoggiandosi a Deuteronomio
20:19:
Quando farai guerra a una città per conquistarla e la cingerai d'assedio per lungo tempo (…)
La svolta sta nella ricerca di giustificazioni bibliche, non
nello stabilire principi generali sul fare la guerra di sabato.
A questo punto entrano in campo i Vangeli. La Collins li
mette in (presunto) ordine cronologico di composizione – ovvero Marco, Luca,
Matteo, Giovanni, ed osserva che i primi due vangeli espongono giustificazioni
puntuali per le violazioni del sabato attribuite a Gesù, mentre i successivi
già mostrano dei principi generali.
La Collins non crede che queste giustificazioni le abbia
emesse Gesù, e pensa invece che esse siano state introdotte dagli evangelisti,
rispecchiando il dibattito halakhico ad essi contemporaneo.
Rimandando al libro della Collins per una trattazione
esaustiva, ricordo che sono soprattutto tre i rabbini che hanno innovato la
legislazione ebraica sul sabato: rav Aqiva, rav
Elazar ben Azarya, rav
Ishmael.
Rav Aqiva inventò l’espressione “safeq nefashot = dubbio sulle vite umane” per indicare che esso è
motivo sufficiente per violare il sabato; inoltre stabilì un principio generale
per cui quello che si può fare di venerdì di sabato non si fa, ma quello che di
venerdì non si può fare perché si deve fare proprio di sabato è motivo per
violare il sabato.
Inoltre, diede un’interpretazione midrashica di Esodo
21:14:
Se qualcuno insidia e uccide il suo prossimo con premeditazione, tu lo strapperai anche dal mio altare, per farlo morire.
L’interpretazione è questa: se è doveroso interrompere un
sacrificio per giustiziare un sacerdote reo di omicidio premeditato, è doveroso
anche interrompere il sacrificio per permettere al sacerdote di scagionare una
persona imputata di omicidio premeditato.
Era già stabilito che le norme sul culto valessero più di
quelle sul sabato, e, se secondo rav Aqiva salvare una vita vale più del
rispettare le norme sul culto, salvare una vita val più del rispettare le norme
sul sabato.
Va ricordato che non è necessario essere sicuri che il
sacerdote possa davvero scagionare l’imputato – basta il dubbio che lo possa
fare, così come non è necessario che la cura che si vuole svolgere di sabato
sia risolutiva: basta il dubbio che giovi.
La Collins fa un’altra considerazione su rav Aqiva,
mettendolo in relazione con l’evangelista Matteo, ma ne riparliamo poi.
Rav Elazar ben Azarya formalizza un argomento che troviamo
(un po’ monco) in Giovanni
7:23:
Se un uomo riceve la circoncisione di sabato affinché la legge di Mosè non sia violata, vi adirate voi contro di me perché in giorno di sabato ho guarito un uomo tutto intero?
All’argomento di rav Elazar ben Azarya conviene premettere un sorite (ragionamento della forma: se A = B, B = C, C = D, allora A = D) per spiegarlo meglio:
- Di sabato non si lavora (Esodo 31:14);
- Ma la circoncisione si svolge anche di sabato (Genesi 17:12; Levitico 12:3), quindi vale più del sabato;
- Se non si circoncide il bimbo al momento giusto, lo si espone a morte per mano di Dio (Genesi 17:14; vedi anche quel che accade a Mosè in Esodo 4:24-26) – la circoncisione perciò salva la vita.
Se si salva una vita intervenendo su una parte del corpo,
così ragiona rav Elazar ben Azarya, a maggior ragione si deve intervenire su
tutto il corpo per salvare una vita, anche di sabato.
L’argomento completo si trova in Tosefta Shabbat 16.13:
R. Yose said: Whence do we know that saving a life takes precedence over the Sabbath? As it is written. “…you shall observe my Sabbaths.” Is it possible that circumcision and the temple service and saving a life [do not take precedence over the Sabbath]? The Torah teaches “But” - a portion. There are times when you observe the Sabbath and times when you do not observe the Sabbath. R. Elazar says: Circumcision takes precedence over the Sabbath because one is punished for it by karet (excision) after time. And the matter is a kal va’homer. If for one limb of him the Sabbath can be superseded, it is logical that the Sabbath should be superseded for all of him. They said to him: according to your reasoning just as in that case it is certain and not uncertain, so too here it must be certain and not uncertain. R. Akiva said: And with respect to which was the Torah more stringent? With the temple service or with the Sabbath? [The Torah was more stringent] with the temple service than with the Sabbath, for the temple service takes precedence over the Sabbath and the Sabbath does not take precedence over the temple service. And the matter is a kal va’homer - if the temple service takes precedence over the Sabbath and a risk to life takes precedence over it, with regard to the Sabbath, which the temple takes precedence over - is it not logical that a risk to human life should supersede it? Behold, you have learned that a risk to life takes precedence over the Sabbath.
Una versione ridotta
la troviamo in Talmud
Shabbat 132a:
The Gemara raises an objection from that which was taught in the Tosefta: From where is it derived that saving a life overrides Shabbat? Rabbi Elazar ben Azarya says it is derived from the mitzva of circumcision: Just as circumcision, which pertains to only one of a person’s limbs, overrides Shabbat, all the more so it is an a fortiori inference that saving a life, which is a mitzva that pertains to the entire person, overrides Shabbat.
Rav Ishmael è quello che ha inventato l’espressione “piquach nefesh = considerazione per la vita
umana”, che è diventata la motivazione standard
per ogni atto che metta da parte la legge ebraica per salvare una vita umana –
il principio è così espresso: “piquach
nefesh docheh et ha-shabbat = la considerazione per la vita umana mette da
parte il sabato”, oppure: “piquach
nefesh docheh et kol ha-Torah = la considerazione per la vita umana mette da
parte tutta la Torah”.
E la vita animale? L’ebraismo non è antispecista (ci sono
ebrei antispecisti, come Peter Singer,
ma non rappresentano l’ebraismo religioso), ma un’antica norma, tanto antica che
i Vangeli dicono che fu citata da Gesù, vieta di far soffrire gli animali.
Vedi Matteo
12:11-12:
11 Ed egli disse loro: «Chi è colui tra di voi che, avendo una pecora, se questa cade in giorno di sabato in una fossa, non la prenda e la tiri fuori?
12 Certo un uomo vale molto più di una pecora! È dunque lecito far del bene in giorno di sabato».
nonché Luca
14:5:
Poi disse loro: «Chi di voi, se gli cade nel pozzo un figlio o un bue, non lo tira subito fuori in giorno di sabato?»
E Luca
13:15:
Ma il Signore gli rispose: «Ipocriti, ciascuno di voi non scioglie, di sabato, il suo bue o il suo asino dalla mangiatoia per condurlo a bere?
L’antichità della norma si deduce anche dal fatto che quando
fu emanata non ci si preoccupò di trovarle una giustificazione scritturale
(come per il permesso di Mattatia di difendersi di sabato) – i brani ora più
citati per questo sono Esodo
23:5:
Se vedi l'asino di colui che ti odia caduto a terra sotto il carico, guardati bene dall'abbandonarlo, ma aiuta il suo padrone a scaricarlo.
Se vedi l'asino di un tuo fratello o il suo bue caduto sulla strada, tu non farai finta di non averli visti, ma dovrai aiutare il tuo prossimo a rialzarlo.
Questa norma, che come le altre norme sul sabato gli ebrei
fino alla metà del 1° Secolo EV (quando hanno cominciato ad operare i tre
rabbini citati – Aqiva, Elazar ed Ishmael) riluttavano ad applicare per
analogia anche ad altre situazioni, creava la paradossale situazione per cui all’epoca
di Gesù di sabato era più tutelata la vita animale di quella umana.
Attualmente, il divieto di far soffrire gli animali si
appoggia soprattutto su due brani talmudici (e successivi commenti, ça va sans dire):
GEMARA: Rav Yehuda said that Rav said: With regard to an animal that fell into an aqueduct, one brings cushions and blankets, and throws them into the water ditch, and places them beneath the animal in the aqueduct. And if the animal thereby emerges, it emerges.
The Gemara raises an objection from a Tosefta: With regard to an animal that fell into an aqueduct on Shabbat, one provides it with sustenance in its place so that it will not die. This implies that providing it with sustenance, yes, that is permitted, providing it with cushions and blankets, no, that it is prohibited.
The Gemara answers: This is not difficult, as there is room to distinguish between the cases. This, the Tosefta in which it was taught that one provides the animal with sustenance, is referring to a case where it is possible to provide it with sustenance. That, the mishna in which Rav said that one brings cushions and blankets, is referring to a case where it is impossible to provide it with sustenance. Where it is possible to provide it with sustenance, yes, he does so. And if it is not possible to provide it with sustenance, he brings cushions and blankets and places them beneath the animal.
The Gemara asks: Does he not, by placing the cushions and blankets, negate a vessel’s preparedness? The cushions and blankets are no longer fit for their designated use on Shabbat, and this negation of their designated use is similar to the prohibited labor of dismantling. The Gemara answers: Rav holds that negating a vessel’s preparedness is prohibited by rabbinic law. Causing a living creature to suffer is a Torah prohibition. And a matter prohibited by Torah law comes and overrides a matter prohibited by rabbinic law.
E Talmud Bava Metzia 32a, 32b e 33a precisano gli
obblighi imposti dai brani biblici citati, ed il foglio 32b in particolare
inizia affermando:
From the statements of both of these tanna’im it can be learned that the requirement to prevent suffering to animals is by Torah law.
Ovvero, è un grave dovere non far soffrire gli animali - soltanto la considerazione per la vita umana permetterebbe di disapplicare la norma.
Tornando a rav Aqiva, la Collins lo cita a proposito di Matteo
12:1-8:
1 In quel tempo Gesù attraversò di sabato dei campi di grano; e i suoi discepoli ebbero fame e si misero a strappare delle spighe e a mangiare.
2 I farisei, veduto ciò, gli dissero: «Vedi! i tuoi discepoli fanno quello che non è lecito fare di sabato».
3 Ma egli rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando ebbe fame, egli insieme a coloro che erano con lui?
4 Come egli entrò nella casa di Dio e come mangiarono i pani di presentazione che non era lecito mangiare né a lui, né a quelli che erano con lui, ma solamente ai sacerdoti?
5 O non avete letto nella legge che ogni sabato i sacerdoti nel tempio violano il sabato e non ne sono colpevoli?
6 Ora io vi dico che c'è qui qualcosa di più grande del tempio.
7 Se sapeste che cosa significa: "Voglio misericordia e non sacrificio", non avreste condannato gli innocenti;
8 perché il Figlio dell'uomo è signore del sabato».
Il brano ha suscitato molti commenti, anche perché la
citazione biblica attribuita a Gesù (da 1
Samuele 21:1-6) è molto imprecisa, e la Collins pensa che l’evangelista si
riferisse non tanto al brano biblico, ma ad un’interpretazione midrashica,
simile a quella che aveva consentito a rav Aqiva di trasformare Esodo 21:14 da
un brano che indica la pena che subisce il sacerdote reo di omicidio premeditato ad uno che
indica che deve fare il sacerdote che può scagionare un imputato di omicidio premeditato.
A dar retta a quest’interpretazione midrashica, Davide ha
violato le norme cultuali appropriandosi del pane della presenza; perciò era un
ottimo esempio di come il pericolo di vita (per la gran fame di Davide e dei
suoi uomini) mettesse da parte le norme sul culto (che prevalgono su quelle sul
sabato).
Secondo la Collins, quest’argomento lo aveva escogitato rav
Aqiva, e l’evangelista Matteo lo ha inserito nel suo Vangelo; essendo però
diventato poi scomodo perché popolarissimo tra i cristiani, fu sostituito
dall’argomento che si basava su Esodo 21:14, senza lasciar tracce nella letteratura rabbinica - anche se il brano biblico continua ad attirare l'attenzione dei commentatori ebrei come esempio di come il pericolo di vita imponga di mettere da parte le norme religiose.
Per quanto riguarda la frase “il Figlio dell’uomo è signore
del sabato”, la Collins ritiene sia stata una traduzione cristologicamente
orientata di una frase del genere “Ben
Adam docheh et ha-Shabbat = l’essere umano [in pericolo] mette da parte il Sabato” – “ben adam” in ebraico significa
letteralmente “figlio d’uomo”, ma idiomaticamente significa “essere umano”.
La famosa frase attribuita a Gesù in Marco
2:27:
Poi disse loro: «Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato
Trova il suo parallelo in Mekhilta
d'Rabbi Yishmael 31:13:
R. Shimon b. Menassia says "And you shall keep the Sabbath, for it is holy to you" — Sabbath is given to you and you are not given (i.e., "surrendered") to the Sabbath.
Secondo la Collins, questo accade perché la frase evangelica
è un’interpolazione tardiva, come mostrerebbe anche la sua assenza dai
manoscritti della famiglia occidentale del Vangelo secondo Marco – gli autori
dell’interpolazione avrebbero trovato il detto di rav Shimon ben Menassia
stupendo (e come dar loro torto?), e lo avrebbero perciò inserito nella loro
versione del Vangelo, diventata poi universale.
La Collins non vede in Gesù un teorico della Legge, anche se
agli evangelisti sarebbe piaciuto presentarlo così, ma un guaritore (simile al
suo contemporaneo Hanina
ben Dosa) che faceva il bene senza farsi tante domande, ma quando agiva di
sabato suscitava delle critiche.
Critiche da parte dei farisei, come affermano i Vangeli? La
Collins fa molto per dimostrare che non erano stati loro a reagire male, bensì
la gente comune della Galilea, poco esperta delle sottigliezze con cui i
rabbini cercavano di allargare le maglie delle norme sul sabato, e perciò più
rigida e tradizionalista.
Un paio di cose vorrei osservare al momento di chiudere l’articolo.
La prima è che la comunità di Qumran era famosa anche per la
rigidità con cui faceva osservare il sabato, vietando, per esempio, di salvare
degli animali in quel giorno; il Gesù evangelico invece non ha niente da
obbiettare sul salvare gli animali – si lamenta semmai che chi salva gli
animali non salva con altrettanta solerzia gli umani. Questo è un argomento che, secondo la Collins, escluderebbe legami tra Gesù e gli esseni.
La seconda cosa è che Luca 14:5:
Poi disse loro: «Chi di voi, se gli cade nel pozzo un figlio o un bue, non lo tira subito fuori in giorno di sabato?»
Ha una versione alternativa in cui, al posto del “figlio” si
parla di un “asino”. Questa è una “lectio
facilior = lettura più facile”, ovvero una variante che può introdurre un
copista inesperto (per non dire ignorante) che copia un testo che non capisce
bene, e quindi conviene diffidarne.
Non solo: Luca sta parlando della guarigione di un idropico,
ovvero un uomo affetto da idropisia, termine medico ormai obsoleto che indica
una condizione in cui il corpo viene allagato dai suoi stessi fluidi, e si può
arrivare all’edema polmonare acuto – ovvero i polmoni si riempiono di plasma
sanguigno, e lo sventurato può morire come per annegamento.
La condizione, estremamente pericolosa, era nota anche nell’antichità,
ed il brano evangelico mette a paragone il bove che rischia di annegare nel
pozzo con un essere umano che rischia di annegare a causa dei suoi stessi
fluidi.
Il brano sembra un “qal
wa-chomer = lieve e grave = ragionamento a fortiori” riportato male, che
intendeva implicare che, se si salvava un bue di sabato dall’annegamento, si doveva
salvare a maggior ragione un essere umano da una simile sventura. Quest’argomento, secondo la Collins, depone perciò a favore della lezione “figlio” anziché “asino”.
Tutto questo viene approfondito dal libro della Collins, che
vi consiglio di leggere.
Raffaele Yona Ladu
Ebre* umanista gendervague
Soci* di Autistic Self Advocacy Network
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