Uno studio biblico su Genesi 18

Il 2 Aprile 2020 la pastora valdese Laura Testa ha tenuto su Zoom uno studio biblico su Genesi 18:22-33 (ne riporto poi una traduzione italiana – tutte le traduzioni sono tratte dalla Nuova Riveduta salvo diversa indicazione), e si sono fatte diverse considerazioni anche ebraiche sull’argomento, che qui riporto.

Leggiamoci ora il brano biblico.

22 Quegli uomini partirono di là e si avviarono verso Sodoma; ma Abraamo rimase ancora davanti al SIGNORE.
23 Abraamo gli si avvicinò e disse: «Farai dunque perire il giusto insieme con l'empio?
24 Forse ci sono cinquanta giusti nella città; davvero farai perire anche quelli? Non perdonerai a quel luogo per amore dei cinquanta giusti che vi sono?
25 Non sia mai che tu faccia una cosa simile! Far morire il giusto con l'empio, in modo che il giusto sia trattato come l'empio! Non sia mai! Il giudice di tutta la terra non farà forse giustizia?»
26 Il SIGNORE disse: «Se trovo nella città di Sodoma cinquanta giusti, perdonerò a tutto il luogo per amor di loro».
27 Abraamo riprese e disse: «Ecco, prendo l'ardire di parlare al Signore, benché io non sia che polvere e cenere.
28 Forse, a quei cinquanta giusti ne mancheranno cinque; distruggerai tutta la città per cinque di meno?» E il SIGNORE: «Se ve ne trovo quarantacinque, non la distruggerò».
29 Abraamo continuò a parlargli e disse: «Forse, se ne troveranno quaranta». E il SIGNORE: «Non lo farò, per amore dei quaranta».
30 Abraamo disse: «Non si adiri il Signore e io parlerò. Forse, se ne troveranno trenta». E il SIGNORE: «Non lo farò, se ne trovo trenta».
31 Abraamo disse: «Ecco, prendo l'ardire di parlare al Signore. Forse, se ne troveranno venti». E il SIGNORE: «Non la distruggerò per amore di venti».
32 Abraamo disse: «Non si adiri il Signore, e io parlerò ancora questa volta soltanto. Forse, se ne troveranno dieci». E il SIGNORE: «Non la distruggerò per amore dei dieci».
33 Quando il SIGNORE ebbe finito di parlare ad Abraamo, se ne andò. E Abraamo ritornò alla sua abitazione.

Le prime considerazioni sono state affidate al predicatore Alessandro Serena, il quale ha dato una spiegazione del problema del male ricorrendo agli insegnamenti di Yitzchaq Luria (1534-1572), noto (com’è d’uso con i grandi studiosi e rabbini) con gli acronimi di “Ha’ARI”, “Ha’ARI Haqadosh”, “ARIZaL”. Luria vergò di suo pugno soltanto alcuni “piyyutim = inni” per celebrare lo “Shabbat = Sabato”, e quelle che vengono considerate le sue opere fondamentali sono state in realtà redatte dal suo discepolo Chayyim Vital (1542-1620) sulla base delle sue lezioni.

La prima parte del problema è come Dio poté creare l’universo – per farlo dovette “restringersi” (l’operazione è detta in ebraico “tzimtzum”, dal verbo “tzam = digiunare”) lasciando spazio all’universo che avrebbe creato.

Un filosofo ebreo che ha usato il concetto di tzimtzum per spiegare come mai Dio permise la Shoah fu Hans Jonas, il quale argomentò che lo tzimtzum non ha solo significato fisico, ma anche etico: Dio, ritirandosi per lasciar spazio al mondo ed all’uomo, gli ha dato la libertà di agire per il bene ed il male – non potrebbe intervenire direttamente nella creazione senza revocare quello tzimtzum.

La pastora ama la teologia di Jürgen Moltmann (nato nel 1926), ed osserva che un concetto simile si trova nella sua opera quando parla della misericordia di Dio – è noto che in ebraico (similmente all’arabo) la parola “rachamim = misericordia” ha la medesima radice di “rechem = utero”; Dio quindi ha fatto del creare e generare un atto di misericordia, ma questo ha reso necessario espellere (come nelle doglie del parto) e separare la creazione da sé.

Un altro problema, cruciale nella teologia sia ebraica che cristiana, è il conciliare la trascendenza di Dio con la Sua immanenza, che Gli consente di essere vicino agli umani e provarne compassione. La soluzione cristiana del problema è l’Incarnazione, quella ebraica postbiblica il distinguere Dio (trascendente) dalla Sua Presenza (immanente), designata con il termine ebraico “Shekhinah = abitazione, residenza”: se Dio è Onnipresente, la Shekhinah si manifesta particolarmente dove ci sono grande pietà e grande sofferenza. Penso che il Moltmann che parla di un “Dio crocifisso” apprezzi assai.

Qual è il ruolo dell’uomo in tutto questo? Alessandro Serena ha ricordato un altro concetto cabalistico tratto dalle dottrine di Luria tramandate da Vital: la “rottura dei vasi”.

Semplificando, dopo lo tzimtzum apparì l’Adam Qadmon = Uomo Primordiale, fatto di pura luce, che proiettò a sua volta codesta luce verso dei vasi (Luria la concettualizza come un fluido) che però non riuscirono a contenerla e si ruppero.

Gran parte dei cocci di questi vasi caddero in livelli inferiori d’esistenza, trascinando con sé delle gocce di luce; i cocci sono chiamati “kelippot = bucce”, le gocce “nitztzotzot = scintille”.

Lo scopo del pio ebreo, ed in particolare del cabalista, sarebbe quello di obbedire ai precetti per penetrare dove si trovano queste “bucce” (che rappresentano il Male) per ricuperare le “scintille” (che rappresentano il Bene) che aderiscono ad esse. Questo compito è chiamato “tiqun ha-‘olam = riparazione/miglioramento dell’universo”, ed è considerato un importante compito non solo individuale, ma anche sociale, dato che molte organizzazioni ebraiche che operano per la giustizia sociale si ispirano a questo.

Mi permetto di osservare che questo compito non ha basi solo cabalistiche, e non deve solo rimediare al Male – leggiamoci Genesi 2:4-5,15:

4 Queste sono le origini dei cieli e della terra quando furono creati.
Nel giorno che Dio il SIGNORE fece la terra e i cieli,
5 non c'era ancora sulla terra alcun arbusto della campagna. Nessuna erba della campagna era ancora spuntata, perché Dio il SIGNORE non aveva fatto piovere sulla terra, e non c'era alcun uomo per coltivare il suolo;
15 Dio il SIGNORE prese dunque l'uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo custodisse.

Adamo quindi non doveva semplicemente interagire con l’Eterno (come fa la mia gatta con me): doveva continuare l’opera che l’Eterno aveva iniziato; questo diventa più chiaro se ci leggiamo il Midrash Tanchuma B, Parashat Tazria, Siman 5, in cui troviamo questo brano a commento di Levitico 12:3 (“L'ottavo giorno il bambino sarà circonciso”):

<<(…) Accadde che il malvagio tiranno Rufo chiese a rav ‘Aqiva: “Quali sono le opere più belle? Quelle di Dio benedetto, o quelle della carne e del sangue?” Egli disse: “Quelle della carne e del sangue son le più belle”. Il malvagio tiranno Rufo gli disse: “Guarda i cieli e la terra. Sei capace di fare alcunché di simile?”. Rav ‘Aqiva gli disse: “Non mi parlare di qualcosa che è troppo alto per i mortali, qualcosa che non possono controllare, ma di cose che sono comuni tra la gente”. Egli [Rufo] gli disse: “Perché voi circoncidete?”. Egli [‘Aqiva] gli disse: “Lo sapevo che stavi per dirmi questo. Perciò ti ho prevenuto quando ho detto: ‘Un’opera della carne e del sangue è più bella di una di Dio benedetto’. Portami delle spighe bianche di grano e del pane bianco”. [‘Aqiva] gli disse: “Le prime sono opera di Dio benedetto, il secondo opera della carne e del sangue. Non è più bello il secondo?” (…)>>

Dopo queste premesse cabalistiche, ci siamo messi a leggere il brano di Genesi 18:22-33 citato.

Io avevo dato un’occhiata al commento di Rashi (1040-1105; è il principe dei commentatori ebrei, che però avrebbe influenzato anche il francescano Nicola di Lira [c1270-1349], uno dei principali esegeti cristiani del Medioevo, ed attraverso di lui Martin Lutero [1483-1546] – non è quindi uno sconosciuto nel mondo cristiano) a Genesi 18 e Genesi 19, ed ho notato diverse cose interessanti.

Innanzitutto, il colloquio tra l’Eterno ed Abraamo sulla sorte di Sodoma non sarebbe avvenuto se l’Eterno non avesse deciso di darle un’ultima possibilità; Rashi commenta Genesi 18:21 (“io scenderò e vedrò se hanno veramente agito secondo il grido che è giunto fino a me; e, se così non è, lo saprò”) non nel senso che l’Eterno avesse bisogno di conoscere meglio la condotta passata dei sodomiti, ma nel senso che voleva sapere se intendevano perseverare o pentirsi, cosa che avrebbe meritato uno sconto di pena – patimenti anziché la distruzione completa.

Inoltre, Abraamo non è soltanto una persona di riguardo (Genesi 18:17-19) a cui si farebbe un torto a tacere le proprie intenzioni, di così gran riguardo che Rashi interpreta Genesi 18:22 (“… ma Abraamo rimase ancora davanti al SIGNORE”) invertendo soggetto e complemento (per Rashi era l’Eterno a stare davanti ad Abraamo, e sono stati gli scribi ad invertire i termini), ma anche una persona capace di usare diversi “registri” nel rivolgersi a Dio.

Il verbo wayyiggash di Genesi 18:23 non è così banale come fanno pensare la traduzione della Nuova Riveduta e quella CEI (“si avvicinò”), perché Rashi ricorda che:

- in 2 Samuele 10:13 il verbo precede una battaglia;
- in Genesi 44:18 il verbo precede un tentativo di placare un superiore;
- in 1 Re 18:36 il verbo precede una preghiera al Signore.

Tutti questi significati sono presenti in Genesi 18:23, ed il primo mi pare prevalente: Abraamo si prepara a combattere per ciò che è giusto.

La regressione numerica (50 – 45 – 40 – 30 – 20 – 10), cioè dei giusti che bisogna trovare per salvare Sodoma viene così spiegata da Rashi: in Genesi 10:19 sono elencate cinque città: Sodoma, Gomorra, Adma, Seboim, Lesa – tutte le 5 città sono minacciate dal giudizio divino, e potrebbero essere salvate tutte se in ognuna di esse si trovassero 10 giusti.

Perché poi si accetta di scendere a 45? 45 = 5 x 9 – vuol dire che l’Eterno accetta di essere il “decimo” di ognuno di questi 5 gruppi di persone, detti in ebraico “minyan” (ed in particolari circostanze, possono bastare 9 adulti più 1 bambino per comporne uno – v. bBerakhot 47b e bBerakhot 48a, nonché questo responsum).

E se non ci sono 45 giusti, ma 40? Vuol dire che non è più possibile salvare tutte le 5 città – se ne salveranno 4, ognuna tutelata dal proprio “minyan”.

E così 30 giusti salveranno 3 città, 20 giusti 2, 10 giusti solo Sodoma.

Non si può scendere? L’obiezione cristiana, riferitami una volta dalla pastora Letizia Tomassone, è che se Abraamo avesse continuato a negoziare, sarebbe arrivato ad un giusto solo – Lot, oppure Gesù.
La replica di Rashi è che aver ottenuto la salvezza per 10 giusti equivaleva ad averla ottenuta per 9, a cui si sarebbe aggiunto l’Eterno per arrivare a 10 – inutile ripetersi.

Per 8 giusti o meno non valeva la pena chiedere, perché Noè e famiglia erano in 8, e questo non aveva impedito il Diluvio.

Avevo fatto anche notare una cosa, ovvero che agli ebrei la “quasi fallita” missione di Giona, che doveva salvare Ninive, ma non volle, e l’Eterno dovette ricorrere a mezzi energici per farglielo fare, piacque tanto che i commentatori tentarono di applicare il modello Ninive a Sodoma (con Lot, quando dovette occuparsi lui di salvare la città) e perfino al Diluvio.

Infatti Rashi commenta Genesi 6:14 dicendo che Dio aveva tante possibilità di salvare Noè – perché fargli fare un’arca di dimensioni colossali per l’epoca?

Perché i vicini di casa, incuriositi, avrebbero chiesto a Noè che stava facendo e perché – e magari, come gli abitanti di Ninive, si sarebbero pentiti rendendo il diluvio superfluo! Purtroppo Noè riuscì solo a completare l’arca.

Se Abraamo non riuscì a salvare Sodoma ammorbidendo l’Eterno, il compito passò a Lot, che tentò in tutti i modi di impedire che gli abitanti di Sodoma abusassero per l’ennesima volta degli stranieri che erano venuti, e di convincerli a pentirsi e cambiar vita.

Niente da fare, anche se Lot perorò la loro causa fino all’ultimo. Giona doveva essere stato proprio un predicatore eccezionale.

Dopo queste osservazioni, lo studio è proseguito chiedendosi perché pregare, se è possibile cambiare i “decreti nefasti” di Dio, e si è concluso con una preghiera.
Raffaele Yona Ladu

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