Appunti per una recensione di Disability in Jewish Law / Tzevi C. Marx
Questi sono appunti per un articolo che alla fine non dovrà avere più di 3 mila battute - non c'è niente di sbagliato nel condividerli, ma i lettori non si aspettino un discorso organico.
Sto leggendo il libro "Disability in Jewish Law / Tzevi C. Marx", in edizione Kindle. L'autore avverte che nell'ebraismo ci sono due tendenze nei confronti della disabilità: da una parte la persona con disabilità è considerata un essere umano da rispettare, dall'altra, essendo questi meno capace di compiere i precetti religiosi ebraici, riceve non solo esenzioni (ovvero, non è obbligato a compierne alcuni) ma anche squalificazioni (ovvero, non gli è permesso compierli).
Cominciando con ciò che è positivo, il punto di partenza si trova nell'Esodo dall'Egitto, che ogni ebreo è tenuto a rivivere durante la cena pasquale. Il rabbino Tanhuma figlio di Abba (4° secolo EV) osservò che la dura schiavitù patita dagli ebrei in Egitto doveva averne reso disabile la stragrande maggioranza, in quanto vittime di "incidenti sul lavoro". Eppure furono degni di essere riscattati da Dio.
Geremia annuncia la redenzione messianica dicendo (Geremia 31:7 - 31:8 nelle versioni cristiane): "li raccolgo dalle estremità della terra; tra di loro sono il cieco e lo zoppo", ovvero, anch'essi sono degni di Dio.
Un altro rabbino, Abba figlio di Kahana (3° secolo EV), riferendo le parole di Levi, aveva lodato le persone con disabilità, dicendo che un re aveva costruito un bel palazzo e che vi fece abitare dei muti, che ogni mattina gli rendevano omaggio a gesti; quando però vi aggiunse persone capaci di parlare, costoro, anziché rendergli un più bell'omaggio, rivendicarono la proprietà del palazzo - al che il re li scacciò.
Al rabbino Meir di Rothenburg (1215-1293) fu chiesto se uno zoppo poteva fare da "cantore" - ovvero, dirigere il culto sinagogale. Il rabbino rispose che se questi era "deforme" era meglio, perché mostrava che Dio non è come un re terreno che usa solo vasi interi e getta via i vasi rotti. Anzi, Egli preferisce i vasi rotti, perché, come dice il Salmo 51:19 (51:17 secondo la Nuova Riveduta, 50:19 secondo la CEI), "Un cuore infranto e pentito, o Dio, tu non disprezzi".
E nel Talmud è scritto che con la distruzione del Tempio, la profezia fu tolta ai profeti, e data alle persone con disabilità intellettiva ed ai bimbi.
Più discutibile è la continuazione del midrash attribuito a Tanhuma: quando Israele arrivò al deserto del Sinai, l'Eterno si chiese se si addicesse alla dignità della Torah l'essere data ad un popolo di persone con disabilità; ma aspettare che da loro nascesse una generazione di persone sane avrebbe significato rimandare eccessivamente il Dono della Torah.
La soluzione fu che l'Eterno inviò degli angeli a sanare gli israeliti. Sicuramente molti degli interessati hanno ringraziato, però questo significava che la disabilità consentiva la liberazione, ma non la rivelazione.
E le persone con disabilità più agguerrite avrebbero potuto affermare che non sentivano il bisogno di "guarire", e gli angeli non sono stati premurosi ma offensivi. Quello che ci voleva era includere loro tra coloro a cui rivelare loro la Torah, così com'erano.
Di queste considerazioni, solo l'ultimo paragrafo è una mia considerazione personale. In tutto il libro l'autore esprime la tendenza ebraica a cercare di adeguare la legge religiosa ebraica all'etica, anche esplicitando i conflitti tra i due, al contrario dei teologi cattolici che cercano di piegare l'etica alla teologia morale con ragionamenti capziosi, come quello della "legge naturale", di origine stoica e non veterotestamentaria.
Un problema serio per gli ebrei è l'individuare che cosa, anche dopo il peccato di Adamo, permette di considerare l'uomo "ad immagine di Dio". C'è chi identifica questa facoltà nell'intelletto, e chi nella parola (per cui chi ha disabilità cognitive o linguistiche rischia di essere escluso dal novero degli umani); la posizione più interessante sembra quella di Abraham Joshua Heschel (1907-1972), per il quale "Il divino simbolismo dell'uomo non è in qullo che ha - come la ragione o la facoltà di parlare - ma in quello che è in potenza; egli può essere santo come Dio è santo".
Novak, citato da Marx, similmente dice che ciò che rende divino l'essere umano è l'essere alla presenza di Dio, e non importa che l'umano se ne renda conto - se ne rende conto Dio, e questo basta. Essere alla presenza di Dio significa essere chiamato a rispondere alla Sua rivelazione, e questo qualsiasi umano può farlo, finché egli respira.
Un principio halakhico fondamentale, ma scarsamente usato nella pratica è il "kevod ha-beriyot = onore delle creature", ovvero il rispetto della dignità umana. Il rabbino Moses Isserles (1520-1572) si trovò a rispondere ad un signore che soffriva di incontinenza urinaria irrimediabile, e gli chiedeva se poteva indossare i tefillin e recitare lo Shema, cose che richiedono che il corpo sia pulitissimo.
Sarebbe stato possibile rispondergli che la sua salute lo esentava da codesti precetti - o che lo squalificava addirittura dal compierli; ma Isserles rispose che la dignità umana esigeva di autorizzarlo invece, indossando semmai qualcosa per trattenere l'urina. E gli permise pure di recarsi in sinagoga e sedersi in mezzo agli altri - anche se ci sarebbero stati argomenti per vietarglielo.
Una cosa che può creare problemi per l'ebreo con disabilità è che l'ebraismo dà molto valore all'esecuzione dei precetti, in quanto chi compie un precetto non solo rinnova il patto tra l'uomo e Dio (o tra l'ebreo e Dio), ma coopera all'attività creatrice di Dio, in quanto compito dell'uomo è perfezionare il mondo che Dio ha creato.
Un precetto interessante è quello di recitare due volte al giorno lo Shema': lo schiavo (ebreo) ne è esentato, perché egli non è padrone del proprio destino.
Tornando ai precetti in genere, l'umanità in genere ne deve rispettare sette, gli ebrei 613. Ed oltre alle norme divinamente ordinate, ci sono quelle emanate dai rabbini per proteggere le prime. Il concetto della "siepe intorno alla Torah" può non piacere, ma non è un'esclusiva ebraica. Per esempio, è vietato uccidere (per difendere il bene della vita), ed è anche vietato passare con il rosso (per non mettere vite umane in pericolo) - il Codice della Strada è una delle siepi intorno al Codice Penale.
Il fatto che gli ebrei si trovino fasciati da norme religiose che coprono ogni aspetto della loro esistenza li rende particolarmente preziosi agli occhi dell'Eterno, ma questo significa che le persone che devono osservare un minor numero di precetti (per esempio, a causa di una disabilità) rischiano di venire svalutate. Questo è un problema serio di tutti gli halakhisti: come lodare chi adempie a molti comandamenti senza svergonare al confronto chi può adempierne pochi.
Una complicazione ulteriore è legata alla possibilità di adempiere ai precetti in modo vicario; per esempio, capita spesso in una sinagoga che i fedeli tacciano mentre il cantore prega molto velocemente: il cantore sta adempiendo al precetto di pregare non solo per se stesso, ma anche per tutti i fedeli, e la sua perizia gli permette di farlo bene ed a gran velocità. Ma per farlo, il dovere deve incombere anche su di lui.
Un cantore non ebreo, anche se sa pregare bene, non ha il dovere di adempiere a quel precetto, e quindi non può adempierlo neanche per tutti gli altri. Idem, nelle comunità ebraiche ortodosse, per un cantore donna: una donna può decidere di pregare come un uomo, e qualche merito ne ricava, ma questo non la rende obbligata al pari degli uomini, perciò, per quanto bravo, non fa "uscire d'obbligo" coloro che l'ascoltano.
Caso lievemente diverso, e più pertinente al discorso, è quello del sordo che suona lo shofar, il corno d'ariete, per Capodanno, Kippur, e negli altri giorni in cui è previsto. Essendo egli sordo, non è tenuto ad ascoltare il suono dello shofar (non gli è neanche possibile) - ma questo significa che, se lui suonasse lo shofar, lo farebbe invano, e chi lo ascoltasse non sarebbe "uscito d'obbligo" per aver adempiuto al precetto.
Un caso particolare è quello della circoncisione: l'obbligo della circoncisione ricade innanzitutto sul padre (un bimbo ebreo viene circonciso all'8° giorno di vita - non si può pretendere che provveda personalmente od incarichi egli stesso un "mohel = circoncisore"), poi sulla comunità, e solo infine sul maschietto coinvolto.
In questo caso, non c'è un obbligo che ricade sul maschietto, che altri devono soddisfare in modo vicario - pertanto chiunque può circoncidere un maschietto ebreo, anche se personalmente esente dall'obbligo (per esempio, perché il dottore disponibile è una donna), purché lo sappia far bene.
Il disabile non può approfittare di questa facoltà, perché lui non è tenuto allo stesso modo della comunità ebraica, e non può circoncidere in suo nome persone diverse da se stesso.
Complicata è la questione delle persone intersessuali, che i rabbini classificavano come "tumtum" (di genere indeterminato) ed "androgynos" (ermafrodito): il "tumtum" è tenuto ad adempiere ai precetti degli uomini (perché potrebbe essere un uomo), ma non può adempierli vicariamente nemmeno per altri "tumtum" (perché lui potrebbe essere una donna, e gli altri uomini); l'"androgynos" può adempiere vicariamente ai precetti di altri "androgynos", perché ha chiaramente una parte maschile, ma non è sufficiente per fargli adempiere vicariamente i precetti dei maschi veri e propri.
[Esistono, a dire il vero, anche altri due tipi di intersessuali nel Talmud: il "saris" (eunuco maschio) e l'"aylonit" (eunuco femmina); ma l'unico problema halakhico che devono affrontare è che si presume che non possano riprodursi, e questo preclude loro il "matrimonio di levirato" (Deuteronomio 25:5-10), in cui è assolutamente necessaria la procreazione. Per tutto il resto, sono rispettivamente parificati ai maschi ed alle femmine cis, e per questo Marx li ignora - chi volesse approfondire legga qui].
Esiste, almeno come caso di scuola, il caso del maschio mezzo schiavo e mezzo libero - perché era servo di due padroni, ed uno solo lo ha affrancato. Deve ascoltare il suono dello shofar (perché è libero per metà), ma non può suonarlo (perché è schiavo per metà). Se lo deve far suonare da un altro uomo!
Un interessante problema è quello del disabile che voglia adempiere a dei precetti dai quali è esentato, e presento qui il caso più semplice, quello del cieco, che la normativa biblica esenta, ma quella rabbinica obbliga a compiere dei precetti.
Concetto fondamentale dell'ebraismo è che ogni ebreo garantisce l'uno per l'altro di fronte a Dio; questo permette di far salire di grado l'obbligo rabbinico, che diventa pari a quello biblico, per cui il cieco, simil-biblicamente obbligato a compiere un precetto, può adempierlo vicariamente per altri ebrei biblicamente obbligati - ovvero quelli che ci vedono bene. Il cantore cieco che conoscesse tutta la "tefillah = preghiera - in questo caso quella pubblica sinagogale" a memoria, o sapesse leggerla in Braille, potrebbe recitarla pertanto a beneficio di tutta la congregazione.
Non altrettanto fortunato è il sordo: non avendo dalla sua nemmeno un obbligo rabbinico, non può adempiere precetti biblici che per se stesso.
La trattazione della disabilità nella legge religiosa ebraica impone di affrontarne le nozioni basilari, ed un problema serio è quello della liceità e meritorietà del compiere un precetto al quale non si è tenuti.
Sintetizzando, ci sono due correnti: quella secondo cui compiere un precetto al quale non si è tenuti procura meriti, e quella secondo cui non procura merito alcuno - gli estremisti di questa corrente sostengono che è vietato e dovrebbe essere impedito il farlo.
Ciò su cui si accordano tutti è che l'ebraismo serve a mettere in rapporto il popolo ebraico con Dio, più che il singolo ebreo con Dio. Adempiere ad un precetto a cui si è tenuti significa non solo confermare la propria ubbidienza a Dio, ma anche accettare il proprio ruolo all'interno della società ebraica. Adempiere ad un precetto al quale non si è tenuti ha il sapore dell'indisciplina, dell'eroismo inopportuno che può compromettere la coesione della compagine militare.
La visione di maggioranza è quindi quella per cui adempiere ad un precetto al quale non si è tenuti procura sì dei meriti, ma inferiori a quelli di chi lo adempie perché è suo preciso dovere.
La persona con disabilità si trova spesso nella condizione di chi adempie dei precetti a cui non è tenuto, perché esentato - e questo ne riduce il merito che ne ricava.
Un interessante problema è quello del disabile che voglia adempiere a dei precetti dai quali è esentato, e presento qui il caso più semplice, quello del cieco, che la normativa biblica esenta, ma quella rabbinica obbliga a compiere dei precetti.
Concetto fondamentale dell'ebraismo è che ogni ebreo garantisce l'uno per l'altro di fronte a Dio; questo permette di far salire di grado l'obbligo rabbinico, che diventa pari a quello biblico, per cui il cieco, simil-biblicamente obbligato a compiere un precetto, può adempierlo vicariamente per altri ebrei biblicamente obbligati - ovvero quelli che ci vedono bene. Il cantore cieco che conoscesse tutta la "tefillah = preghiera - in questo caso quella pubblica sinagogale" a memoria, o sapesse leggerla in Braille, potrebbe recitarla pertanto a beneficio di tutta la congregazione.
Non altrettanto fortunato è il sordo: non avendo dalla sua nemmeno un obbligo rabbinico, non può adempiere precetti biblici che per se stesso.
La trattazione della disabilità nella legge religiosa ebraica impone di affrontarne le nozioni basilari, ed un problema serio è quello della liceità e meritorietà del compiere un precetto al quale non si è tenuti.
Sintetizzando, ci sono due correnti: quella secondo cui compiere un precetto al quale non si è tenuti procura meriti, e quella secondo cui non procura merito alcuno - gli estremisti di questa corrente sostengono che è vietato e dovrebbe essere impedito il farlo.
Ciò su cui si accordano tutti è che l'ebraismo serve a mettere in rapporto il popolo ebraico con Dio, più che il singolo ebreo con Dio. Adempiere ad un precetto a cui si è tenuti significa non solo confermare la propria ubbidienza a Dio, ma anche accettare il proprio ruolo all'interno della società ebraica. Adempiere ad un precetto al quale non si è tenuti ha il sapore dell'indisciplina, dell'eroismo inopportuno che può compromettere la coesione della compagine militare.
La visione di maggioranza è quindi quella per cui adempiere ad un precetto al quale non si è tenuti procura sì dei meriti, ma inferiori a quelli di chi lo adempie perché è suo preciso dovere.
La persona con disabilità si trova spesso nella condizione di chi adempie dei precetti a cui non è tenuto, perché esentato - e questo ne riduce il merito che ne ricava.
[Continua]
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