Psicologia archetipica e Giona
Una mia amica, Erica Gazzoldi, si identifica in questo post del suo blog con l’archetipo di Kóre, così come interpretato da Clarissa Pinkola Estes. Le faccio i migliori auguri, tantopiù che sono stato stimolato a fare qualcosa del genere.
Ci sono per me però alcuni ostacoli, che devo ahimè lungamente descrivere.
Il primo è che quest’operazione, ovvero rinvenire gli archetipi di tipo junghiano nell’anima delle persone, identificandoli con le divinità greche, chiamata dal suo autore, lo psicologo analista [junghiano] James Hillman, “psicologia archetipica”, nasce in esplicita polemica con il monoteismo – un*ebre* come me perciò deve premettere che per me è solo un gioco intellettuale interessante, e non un cambio di affiliazione religiosa.
Il secondo ostacolo è un limite intrinseco al metodo di Hillman. La mitologia greca ci è nota attraverso la letteratura greca, che conosciamo solo in parte, perché il tempo non fu galantuomo; perfino degli autori massimi conosciamo solo i titoli o dei compendi o dei frammenti di alcune loro opere, e perciò alcuni miti ci sono noti in modo inadeguato (tantopiù che molti greci erano affiliati a religioni misteriche, i cui riti e miti erano conosciuti soltanto dagli iniziati, ed in proporzione al progredire dell’iniziazione), ed è probabile che molti siano andati perduti. Anche se i greci avessero avuto il genio di elencare attraverso i loro miti tutti gli archetipi utili a mappare l’anima, i discepoli di Hillman ne conoscerebbero comunque solo una parte. Mi auguro si rendano conto dei limiti delle loro conoscenze.
Il terzo limite viene posto da alcuni rabbini, i quali sostengono che la psicologia degli ebrei è essenzialmente diversa da quella dei gentili. L’idea mi pare troppo stupida per meritare una confutazione, ma, depurata dall’essenzialismo, pone un problema interessante: è possibile applicare la psicologia archetipica anche agli ebrei più osservanti, i quali nutrono la loro anima con esempi tratti dalla Bibbia e dalla letteratura e dalla storia ebraica, rinvenendo in essi degli archetipi di tipo greco?
Io penso di sì, altrimenti non avrei scritto quest’articolo; e parto dal nome ebraico che ho scelto, Yona, in quanto rappresenta ciò a cui dovrei ispirare la mia vita.
Yona è il nome del profeta Giona; letteralmente significa “colombo”, ma nella lingua contemporanea è considerato un nome unisex – perciò potrei conservarlo anche nel caso la mia “fluidità di genere” mi inducesse a transizionare.
Inoltre, cosa di cui mi sono ricordato solo in seguito, tutte le famiglie del mio paese in Sardegna hanno, oltre al cognome anagrafico, un soprannome (chi ha letto “I Malavoglia” di Verga ricorderà che l’autore osserva che tale famiglia, nell’anagrafe ecclesiastica, aveva per cognome “Toscano”, ma il paese di Aci Trezza l’aveva definitivamente soprannominata “Malavoglia”), di cui è bene non abusare perché è considerato ingiurioso (al mio paese viene infatti chiamato “ingiuriu”).
La situazione è simile a quella della parola “frocio” tra gli uomini gay: al loro interno, quando l’intento è palesemente autoironico, si può anche usare; gli estranei è bene che se ne guardino, perché si rischia di recare grave offesa.
Il soprannome della famiglia di mio padre è “Puggione = uccello”, molto simile a “Yona = colombo”. Strana coincidenza per un nome scelto solo perché la sua prima sillaba “Yo” si trova anche in alcune versioni abbreviate del Nome Ineffabile (es. “Yochanan = Il Signore ha fatto grazia”), anche se i filologi avvertono che è solo un caso.
Dopo questa lunga premessa, cerchiamo l'archetipo prevalente nella figura di Giona - ed è molto semplice: Afrodite.
Ad Afrodite erano sacre le colombe, così come al suo equivalente cananeo Astarte, che già secondo Pausania era la progenitrice di Afrodite.
E nella mitologia greca le colombe conferivano poteri divinatori; secondo Erodoto il celebre oracolo di Dodona (in Epiro) fu istituito da una colomba proveniente da Tebe (in Egitto), che si posò su una quercia e proclamò in linguaggio umano che questo sarebbe stato l'oracolo di Zeus - e da allora in avanti i movimenti delle sue fronde furono interpretati dalle sacerdotesse dell'oracolo, dette "peléiades = colombe".
Un'altra colomba, che aveva lasciato Tebe insieme con la prima, istituì invece l'oracolo di Amon in Libia; e la leggenda dice che l'oracolo di Delfi fu fondato nel luogo in cui due colombe (o due aquile) inviate da Zeus si posarono - e le colombe comunque furono gli unici uccelli a cui era consentito avvicinarsi al santuario.
In Giona noi abbiamo quindi una colomba di nome e divinatoria di fatto. Il libro biblico è breve, ed i midrashim si preoccupano di completarne le lacune. Per esempio, era proprio il risentimento contro i niniviti ad aver convinto Giona a rifiutare la missione affidatagli?
Secondo i midrashim, Giona era un predicatore di tale eccellenza da essere riuscito nell'impresa di salvare Gerusalemme da un destino simile a quello minacciato poi a Ninive, e con lo stesso metodo: convincendo gli abitanti a far penitenza ed a tornare all'Eterno!
A giudicare dalle invettive di Geremia contro gli abitanti di Gerusalemme e la loro persistente infedeltà all'Eterno (cito solo Geremia 15:5, versione Nuova Riveduta: "Infatti chi potrebbe aver pietà di te, Gerusalemme? Chi ti dovrebbe compiangere? Chi s'incomoderebbe per domandarti come stai?"), quello era stato il capolavoro della vita di Giona.
Ma la gratitudine è merce rara, ed i gerosolimitani, anziché ringraziare Giona per aver salvato loro la vita, dissero che era un profeta scarso perché quello che aveva previsto non si era avverato; Giona non voleva che succedesse di nuovo con Ninive, e per questo cercò di fuggire.
È stato molte volte notato che gli ebrei temevano il mare, facendone un simbolo del male, ma Giona invece si imbarca verso occidente, e ne è così poco spaventato da permettersi il lusso di dormire in mezzo ad una tempesta.
Afrodite era nata dalla spuma del mare che aveva creato il reciso fallo di Urano precipitando in acqua - più che comprensibile che una persona in cui prevale l'archetipo di Afrodite del mare non abbia paura; ma per immergersi nelle sue profondità senza spaventarsi troppo ci vuole un altro archetipo: Posidone.
Una femminista si potrebbe chiedere: "Perchè non Anfitrite, l'originaria dea del mare, declassata poi a moglie di Posidone?" Perché Posidone seduce (anziché stuprare) Anfitrite grazie a Delfino, un cetaceo che si presta a fare da paraninfo e viene ricompensato poi diventando una costellazione.
Il mostro marino che diventa un animale addomesticato (creato prima del resto del mondo, secondo i Pirqé de-rav Eli'ezer) che compie un'ambasceria (nel caso di Giona, non solo lo ingoia senza ucciderlo, ma, secondo i midrashim, lo porta in "visita guidata" ai luoghi in cui si è formata l'identità ebraica - tra cui il punto del Mare delle Canne per cui erano passati gli ebrei in fuga - per mostrargli che la sua missione è proprio lo svolgimento della sua ebraicità, e non una bizzarria incomprensibile) mi sembra pertanto una cosa più degna di Posidone che di Anfitrite o Talassa o Teti.
Il libro di Giona è l’“Haftarah” di Yom Kippur – “Haftarah” è un brano dei Profeti che viene scelto per commentare il brano del Pentateuco letto per l’occasione, ed Yom Kippur è il giorno in cui gli ebrei purificano se stessi, la loro comunità, il loro tempio, dalle impurità accumulatesi durante l’anno, e chiedono a Dio la grazia di vivere un altro anno ancora.
Yom Kippur sarebbe una festa che riguarda solo gli ebrei, ma quest'uso del libro di Giona ne propone una lettura universalizzante - colui che secondo i midrashim aveva salvato Gerusalemme doveva ora salvare Ninive, e se pure Ninive, sentina di ogni vizio, potè essere salvata, tutta l'umanità può esserlo. Tutti costoro dovevano diventare ebrei per salvarsi? Non credo.
La letteratura rabbinica (ed i rabbini sono coloro che hanno scelto Giona come “Haftarah” di Kippur) distingue tra “Bené Yisrael = Figli d’Israele” e “Bené Noach = Figli di Noé”. I primi sono tenuti ad adempiere a tutti i comandamenti biblici (riassunti nel 2° Secolo dell’Era Volgare in un elenco di 613 precetti, di cui la versione più nota è quella di Maimonide), gli altri solo a sette precetti.
Gli abitanti di Ninive dovevano rispondere del non aver ottemperato nemmeno a questi sette, e disporsi ad adempierli in futuro - un compito molto più facile di quello degli abitanti di Gerusalemme, che dovevano pentirsi di aver violato 613 precetti ed impegnarsi ad osservarli puntigliosamente in futuro!
Tra l'altro, i "Figli di Noè" devono il titolo non solo al discendere carnalmente (secondo il mito, ovviamente) da Noè, ma anche dall'aver ereditato l'alleanza che l'Eterno stipulò con lui dopo il Diluvio. E come fu suggellata l'alleanza? Essa viene perfezionata in Genesi 9:1-17, ed il suo segno è l'arcobaleno; ma io ne rinvengo il "preliminare" in Genesi 8:11, quando l'Eterno fa tornare nell'arca di Noè la colomba che ne era uscita, con in becco la fogliolina di ulivo.
Giona rappresenta e ripropone quell'alleanza a tutti i popoli, a cominciare appunto da Ninive.
Infine, abbiamo il “qiqayon = ricino” che difende Giona dal sole, dopo che egli, ancora amareggiato, ha comunque salvato Ninive.
Di per sé il ricino è una pianta molto velenosa, e se ne può ingerire (con cautela!) solo l’olio spremuto a freddo, che solo così risulta privo della pericolosa tossina “ricina”. Nel medioevo cristiano veniva chiamato “palma Christi” (la locuzione è tuttora usata in francese ed inglese) per la sua bellezza (nella Grecia d'oggi viene usato anche come pianta ornamentale), ma non sono riuscito a trovare riferimenti mitologici a codesta pianta, che pure era nota ai greci ed ai romani, e le cui bacche sono state rinvenute nei sarcofagi egizi. Devo inventarmelo io – provo con Ade, signore dell’oltretomba e delle piante pericolose.
Abbiamo quindi tre archetipi: Afrodite, Posidone, Ade - in ordine decrescente di importanza.
E Dioniso? La domanda può stupire chi non conosce l'ebraico, ma si spiega con il fatto che le parole "yona = colomba" e "yayin = vino" si somigliano tanto che in passato le si riteneva derivanti dalla medesima radice.
Quest'opinione è stata ormai abbandonata - Olivier Durand, nella sua Introduzione alla Lingua Ebraica, avverte che probabilmente la bevanda ha ricevuto il nome da colui che l'ha inventata, e codesto nome si è diffuso con notevole fedeltà nelle varie lingue del Mediterraneo e del Vicino e Medio Oriente.
Che "yona" somigli a "yayin" è un caso. Anche se nel Cantico dei Cantici gli sposi si complimentano spesso paragonandosi alla colomba od al vino, ed il paragone trae forza dall'allitterazione tra le due parole, non credo che questo introduca Dioniso nel quadro - perché Giona non beve, al contrario di Noè, che inventa il vino e l'ebbrezza.
Raffaele Yona Ladu
Ebre* umanista gendervague
Soci* di Autistic Self-Advocacy Network
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