Inaugurazione


Unu tikkirigheddu 'e latte!
Il più trasgressivo dei carnevali sardi è quello di Bosa [1] , città in cui ho comprato una casa e spero di vivere gli anni della pensione insieme con mia moglie.

Il protagonista del carnevale è "Gioldzi = Giorgio", di cui la mattina del martedì santo vene recitato "s'attittu = il lamento funebre", con le "attittadoras = prefiche" che non solo cantano, ma vanno anche in giro con dei bambolotti che attaccano al seno delle signore presenti, implorando "unu tikkirigheddu 'e latte = un goccetto di latte" per il bambolotto, che rappresenta Gioldzi risorto e neonato, la cui sventata madre è così presa dal ritmo del carnevale da scordarsi pure di nutrirlo (e sì che le mammelle non munte fanno proprio male!).

Come vediamo, Gioldzi non muore definitivamente - come in molti rituali pagani di cui la pasqua ebraica ha solo un'eco attutita (ci si limita a distruggere i vecchi cereali fermentati per far posto ai nuovi che verranno raccolti), e la pasqua cristiana un'eco più sonora, egli risorge, e le stesse persone che il mattino si vestivano di nero e si erano annerite il viso con il sughero bruciato, la sera si vestono di bianco e vanno alla ricerca di Gioldzi rinato.

Alla fine, dopo un tripudio di canti (spesso satirici) e balli (antichi e moderni), i pupazzi vengono bruciati nei roghi, segnando la fine del carnevale.

Il carnevale consente un'interpretazione più salace: spesso al posto del bambolotto da imboccare viene porto un fallo di legno o cartapesta, e le squadre che la sera alla luce delle lanterne o delle torce vanno in cerca di Gioldzi (e qui mi pare inevitabile il paragone con la "Bdiqat Chametz = la ricerca dei cereali fermentati" [2] che fanno gli ebrei la sera della vigilia della loro pasqua) spesso prendono "prigioniero" un passante e, dopo avergli ben bene illuminato le pudenda con le lanterne e le torce, gridano: "Gioldzi, ciappadu l'appo = Gioldzi, l'ho preso!"

Capita anche tra gli ebrei di sentirsi dire: "Ma tu, sei circonciso per davvero?" Io non lo sono, e la cosa non avrebbe alcuna importanza se le mie opinioni non fossero spesso diverse da quelle dei portavoce della maggioranza (una mia amica ha messo una taglia sulla testa di chi dice "mainstream", quindi evito quest'utile parola) ebraica.

Ma ho deciso di prenderla con filosofia e, volendo rappresentarmi come una persona sia ebrea che bosana, e che per ambo i motivi rischia che le vengano pubblicamente illuminati e scrutinati i genitali, ho trascritto "Gioldzi" come "Jew-ldzi", e ne ho fatto il sottodominio del blog; il titolo "Pessamentos 'e un* dzude* osink*" vuol dire semplicemente "Pensieri di un*ebre* bosan*".

Addendum: più ci penso, e più credo sia opportuno indagare sulla possibile correlazione Gioldzi = Chametz.

Il nome "Giorgio", di cui "Gioldzi" sarebbe la versione bosana, viene dal greco "georgòs = agricoltore", e ritengo più adatte le maestose colline di Bosa a coltivare la vite (squisita è la sua Malvasìa) che i suoi piccoli orti a coltivare cereali (ed infatti i contadini del luogo che conosco coltivano la vite, alberi da frutto ed ortaggi - non ci provano nemmeno col grano, che oltretutto esigerebbe più acqua di quella che hanno). Quindi ... il mito di Gioldzi non può essere nato qui.

Inoltre, cosa fanno gli ebrei al termine della ricerca del "chametz = cereale fermentato"? Lo bruciano, esattamente come a fine carnevale si bruciano i pupazzi che rappresentano Gioldzi, di cui si è pianta la morte, constatata la risurrezione, assicurata infine la distruzione.

Il lievito è come l'orgoglio, dicono i maestri dell'ebraismo: il primo gonfia la pasta, il secondo la persona; potrei aggiungere che il desiderio gonfia una ben precisa parte del corpo (anche le tette, talvolta), ed anche questo fenomeno va in alcuni periodi dell'anno evitato.

Per i cristiani uno di questi periodi è la quaresima, ovvero i quaranta giorni che precedono la loro pasqua; per gli ebrei è l'omer, ovvero i quarantanove giorni che separano la loro pasqua dalla loro pentecoste.

Sono entrambi periodi di privazioni, interrotti solo in giorni particolari (per i cristiani è la festa della pentolaccia, celebrata a Bosa la 1^ domenica di quaresima; per gli ebrei il 33° giorno dell'omer), durante i quali è oltretutto vietato il matrimonio - Gioldzi in quei giorni è in riposo forzato.

Curiosamente, l'euforia pasquale/risus paschalis a Bosa precede il successivo periodo di penuria, come vuole il calendario ebraico, anziché seguirlo come vuole quello cristiano.

La mia ipotesi è che nel carnevale bosano e nel mito di Gioldzi si siano conservati elementi simili a quelli che si rinvenivano nella prebiblica festa degli azzimi e che poi sono stati sussunti nella festa pasquale ebraica - e che quest'ultima fosse in origine assai più sensuale di quello che è ora (è comunque permesso far l'amore durante il periodo pasquale).

A questo punto devo raccogliere tutte le informazioni possibili sia sul "karrasegare 'osinku = carnevale bosano" che su "Pesach = la festa pasquale ebraica", capire quali parentele possono rivelare, e se altri vi hanno già indagato.

Raffaele Yona Ladu

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